Lo scontro triangolare tra la Siria, che combatte sul suo terreno, gli invasori vecchi e nuovi e la Russia rischia di allargarsi e coinvolgerci.
Nei giorni scorsi decine di soldati siriani sono stati bersaglio di attacchi congiunti del corpo di spedizione turco e dei loro alleati del Califfato e sono morti. Si è trattato di attacchi con droni nell’area di Saraqib contro i carri armati, l’artiglieria mobile e gli altri mezzi dell’esercito regolare siriano. Subito dopo l’aviazione siriana ha martellato le posizioni turche a Idlib, in Siria, uccidendo circa cinquanta soldati. Su twitter si può vedere tutto (ad esempio @ELINTNews).
I nostri media, che sanno sempre da che parte stare, hanno parlato di “ennesima catastrofe umanitaria”, e di attacco del “regime di Damasco” (dimenticando prontamente che anche quello di Erdogan viene normalmente appellato nello stesso modo). L’intera area è oggetto di un’escalation che sembra inarrestabile.
I Russi hanno inviato altre due navi, ed i Turchi gli hanno proibito il transito nel Bosforo. Gli americani muovono le truppe ed annunciano manovre congiunte con i Turchi nel Mediterraneo. L’Unione Europea procede in ordine sparso, i paesi del nord, minacciati dai flussi di profughi dalla Turchia e interessati da forti relazioni economiche con la stessa (oltre ad avere milioni di immigrati storici) sono tentati di appoggiare l’invasione turca, mentre Italia e Francia, preoccupate per le mire di questi sul basso Mediterraneo e la presenza di mercenari in Libia, resistono.
La lunghissima guerra siriana, iniziata come “primavera araba” ai tempi di Obama, ha prodotto il suo tumore orrendo nel Califfato, producendo i tagliatori di teste e distruttori di monumenti abbondantemente sovvenzionati per interposto stato dall’occidente dentro l’incomprensibile risiko mediorientale, nel quale si intersecano logiche religiose, nazionali, di clan ed etnia, ideologiche e culturali. Sciiti verso Sunniti, minoranze di ogni genere, cristiane copte, cattoliche, zoroastriani, ebrei, Yazidi, sufi, mandei, e via dicendo.
Nazioni e stati miscelati come in un gioco di ruolo, decine di etnie diverse, culture anatoliche e arabe, persiani, le più antiche culture del mediterraneo, tutte le ideologie del mondo in tutte le versioni possibili. Tutto questo si contamina e fertilizza nella regione più centrale e più densa del mondo da millenni. Noi, poveri e semplici, non ne capiamo nulla da oltre settanta anni. Anzi, non ne abbiamo mai capito nulla.
Poco importa, quel che abbiamo pensato è solo di continuare il gioco del controllo delle risorse, per perpetuare il nostro sviluppo al prezzo del sottosviluppo della regione. Si è trattato, alla fine, dell’ennesima mossa della lunga battaglia degli imperialismi occidentali, Usa ed Europeo in questo caso, e dei loro alleati d’ordine locali, i Saud in primis, contro i centri di potere non subalterni ed il più antico di tutti la Repubblica Araba di Siria da sempre schierata contro l’occidente e membro del Movimento dei Paesi non Allineati.
Divenuta indipendente dalla Francia nel 1945 la Siria, membro fondatore dell’ONU, è governata dal Partito Ba’th dal 1963 che si ispira a valori socialisti e patriottici, laici, anticolonialisti, panarabi (insieme a Ahmed Ben Bella, Abdel Nasser, Muammar Gheddafi, Saddam Hussein). Il Partito della Resurrezione Araba (Ba’th) tenta sin dalla creazione, al finire degli anni quaranta, di unire laicità, tradizione islamica, socialismo e nazionalismo, richiamandosi al cosiddetto “socialismo arabo”, volto soprattutto a liquidare le basi economiche della vecchia élite coloniale.
Quindi dal 1971, quando la sua ala sinistra e l’alawita Hafez Al Assad prende il potere il partito si orienta verso l’Unione Sovietica e accentua gli elementi laici. Lo stato siriano garantisce tutte le minoranze confessionali, a partire dai cristiani di Aleppo, seguendo una millenaria tradizione e coerentemente con il suo carattere socialista e laico.
Al contrario dei suoi aggressori, turchi o sauditi, che promuovono una versione integralista della religione islamica.Quando, alla fine e dopo centinaia di migliaia di morti, il Califfato è stato posto in rotta dallo sforzo congiunto dell’esercito siriano e russo, e stava per perdere la sua ultima roccaforte in un’area ricca di risorse minerarie e petrolio, è intervenuto, a sostituire i soldati americani che Trump aveva ritirato, l’autocrate turco Erdogan. In una prima fase è sembrato che lo scopo dell’offensiva su suolo siriano fosse solo garantirsi un cuscinetto tra l’area Curda-siriana e quella Curda-turca. Su questa linea era sembrato anche che si fosse raggiunto un compromesso con i russi nella regione.
Ma nelle scorse settimane i turchi, visti di fronte al rischio di perdere del tutto gli alleati tagliagole (che nel frattempo avevano ricominciato ad esercitarsi sui soldati siriani che catturavano), hanno allargato i fronti di offensiva e invaso il paese direttamente con le loro forze corazzate.
Di qui gli scontri di questi giorni.
Di qui il rischio che la guerra lambisca le nostre coste, e insanguini una regione del mondo che non ha pace da settanta anni. Una regione che abbiamo colonizzato e che non vogliamo abbandonare fino a che ci sarà una goccia di petrolio.
Basta.
Bisogna uscire dal petrolio, uscire dalla guerra.La Turchia torni nei suoi confini e lasci che la giustizia faccia il suo corso con l’Isis.