Chiara Zoccarato cover bn

Ho letto in questi giorni infiniti discorsi motivazionali sul fatto che questa, al COVID-19, sia una guerra. 

Da uomini politici me lo posso aspettare, la guerra è l’occasione per assumere pieni poteri e decidere con ampia autonomia. Il rischio di derive autoritarie c’è, evidentemente. Da economisti un po’ meno. 

In guerra l’economia è completamente diversa: abbiamo piena occupazione (mandiamo in fabbrica anche donne e bambini), piena capacità produttiva (tutto quello che può essere mobilitato per la produzione viene finanziato), i beni di consumo sono deliberatamente resi scarsi (servono per lo sforzo bellico, i lavoratori ricevono vari tipi di incentivi al consumo posticipato per non creare inflazione), l’innovazione tecnologica viene spinta al massimo, la spesa in deficit raggiunge percentuali a doppia cifra ed è mirata a strutturare l’economia per la riuscita dello sforzo bellico e la tenuta sociale.

Altri paragonano questa emergenza a quella della crisi del 2009, ma quella era una crisi finanziaria, nata dalla speculazione e dall’iper-indebitamento privato per sostenere la domanda. 

In entrambi i casi, non vedo particolari affinità con la situazione attuale. 

Quella che viviamo è una crisi sanitaria che va ad innescare una tripla crisi nell’economia, di offerta, di domanda e finanziaria del settore privato. I lavoratori non possono lavorare, molti hanno perso il posto, le fabbriche sono chiuse, le scadenze dei pagamenti e degli impegni finanziari continuano ad esserci, come ha detto Larry Summers in una recente intervista “il tempo dell’economia è stato messo in pausa, ma il tempo della finanza no”. 

La capacità produttiva è ridotta al minimo, non si può aggiungere il classico “indispensabile”, perché l’anarchia produttiva tipica del capitalismo ha imposto come riferimento il valore di mercato per l’attività economica, non il valore sociale. Necessario, in una economia di mercato, è tutto ciò che produce profitto. Dobbiamo capire oggi cosa ci serve davvero e cosa no. Quello che serve, si deve fare. Il resto aspetta.

Alessandro Visalli nel suo pezzo ” Disorganizzazione e Riorganizzazione” analizza in modo puntuale la frammentazione in cui ci troviamo a dover operare oggi, per mandare avanti il paese in modo sostenibile durante l’emergenza. Difficilmente si trova il bandolo della matassa e il rischio di commettere errori di valutazione è altissimo. 

La capacità delle istituzioni pubbliche di finanziare un piano di risposta adeguato è ostacolato da una governance europea che è espressione di rapporti di forza e interessi economici nazionali divergenti, dalla quantificazione ex-ante dell’ampiezza dei fondi necessari –  non sappiamo quanto è effettivamente necessario spendere per raggiungere l’obiettivo, lo si vedrà solo a consuntivo – dall’assurdo ricorso al MES, che ci permetterebbe un intervento limitato e da scontare con condizionalità stringenti che ci impiccherebbero poi, o ad un programma di QE del tutto inadeguato. Ma, di fatto, come ormai tutti stanno ammettendo dopo anni di fanta-economia per giustificare l’austerità pubblica e la speculazione finanziaria privata, i soldi non mancano. Si creano. Il problema dell’Unione Europea è essenzialmente istituzionale: negli statuti non è indicato il soggetto pubblico comune che dovrebbe avere questa funzione in modo diretto, senza fare ricorso all’indebitamento sul mercato. In uno Stato nazionale, con moneta propria, quel soggetto è il Tesoro tramite la Banca Centrale. E anche quando il Governo decidesse di emettere titoli di Stato, la sua Banca potrebbe acquistarli senza limite. La funzione di Garante di Ultima Istanza, del tutto normale e connaturata ai compiti delle Banche Centrali di tutto il mondo, non è prevista per la BCE. Questo vincolo non è tecnico, é esclusivamente politico. Se si riuscisse a superarlo, la proposta che arriva da più economisti, tra cui Paul De Grauwe, di monetizzare il debito di ciascun paese in base alla necessità, sarebbe perfettamente implementabile dalla Banca Centrale Europea. La moneta non è una merce, non è scarsa ed è pressoché illimitata. 

Tuttavia, questa sua caratteristica non garantisce che si possa utilizzare in quantità monstre in modo indiscriminato, sia perché potrebbe creare inflazione (non sappiamo quanto potrebbe durare il blocco globale, potremmo ritrovarci verosimilmente in una situazione in cui i beni diventano veramente scarsi, e tutte le motivazioni per cui prima spinte inflattive non avrebbero potuto esserci, adesso potrebbero manifestarsi), sia perché potrebbe essere spesa male, in modalità che funzionano poco o per i soliti noti. Il sistema era marcio, farlo sopravvivere con iniezioni di liquidità senza criterio potrebbe essere una pessima mossa. 

La spesa deve essere mirata, questo si, come in tempo di guerra, al superamento dell’evento catastrofico globale che stiamo vivendo e non sappiamo quanto potrà durare. E certamente deve essere lungimirante, deve cioè già impostare un sistema diverso, basato su un paradigma economico e sociale sostenibile. Una nuova consapevolezza di ciò che è necessario e importante. 

Non ha senso, nel pieno di una crisi dal lato anche dell’offerta, mandare soldi a tutti. Lo Stato non deve sussidiare le follie del capitalismo, né la classe agiata. Gli anni passati non stati duri per tutti, qualcuno, che poteva permetterselo ed era nella posizione per farlo, si è arricchito grazie a speculazioni ghiotte, e ha potuto approfittare della precarizzazione del lavoro e dello sfruttamento a salari da fame. Certamente dei soldi vanno distribuiti dallo Stato e in modo rapido, questa misura è indispensabile per dare sollievo in questo momento di blocco dell’economia, ma non devono essere utilizzati per pagare le rendite.

Devono essere sostenuti i redditi per il consumo di base alle famiglie che hanno subito un crollo del salario verticale, comprese le partite IVA, e ai disoccupati. Ne avremo moltissimi. L’ILO ha rilasciato uno studio in cui prevede 25 milioni di disoccupati nel mondo creati dalla pandemia. Si aggiungeranno a quelli già esistenti. Questa crisi non arriva in un sistema economico florido, ma in un paese già provato da dieci anni di recessione. 

Bene alle misure intraprese dal governo sulla sospensione del pagamento dei mutui abitativi su immobili non di lusso, e la moratoria anche sulle rate dei finanziamenti alle imprese in accordo con l’ABI, che permette alle banche di non avere segnalazioni alla Centrale dei Rischi e doverli considerare come crediti in sofferenza (NPL). 

Ma serve anche il blocco degli affitti.

Non è possibile che una categoria sociale già chiaramente più debole rispetto a quella proprietaria, debba subire una ulteriore riduzione del reddito rispetto agli altri. Ripeto, in questo momento il sostegno economico tramite invio diretto nei conti correnti è indispensabile, ma non deve servire a pagare debiti. Le posizioni finanziarie debitorie devono essere congelate. Quelle nei confronti dello Stato, potrebbero essere cancellate. 

Il denaro deve servire a coprire le necessità primarie. 

Vanno nazionalizzate le industrie considerate strategiche in difficoltà e si devono mantenere pubbliche dopo. Le privatizzazioni sono state un errore. L’interesse nazionale e l’utilità generale devono venire prima degli interessi privatistici. 

Lo sforzo primario di spesa va posto nella lotta al virus. 

Finanziamenti alla sanità pubblica, produzione di macchinari, mascherine, assunzioni di medici e infermieri con salari decenti, vanno impediti gli abusi, non si deve sfruttare il lavoro degli operatori sanitari che ci salvano la vita. 

Va avviato un programma di lavoro garantito che assuma temporaneamente disoccupati nella protezione civile, che si occupino della fondamentale e improrogabile sanificazione degli ambienti pubblici e privati, della distribuzione di cibo e medicinali agli anziani porta a porta (adeguatamente protetti e forniti di presidi disinfettanti, in modo da non essere veicolo di contagio), di supporto ovunque ci sia necessità. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. 

L’agricoltura e le filiere della produzione di cibo sono di importanza vitale. L’acquisto di derrate alimentari da parte dello Stato e l’aiuto finanziario alla produzione nazionale in questo settore, deve essere massiccio. Le esportazioni di generi alimentari vanno monitorate attentamente, se non fermate. 

Tutte le aziende private disposte a riconvertire la produzione in beni utili all’emergenza vanno sostenute economicamente. I lavoratori messi in sicurezza, tramite sanificazioni costanti a costo dello Stato. Le protezioni individuali devono essere fornite dallo Stato. 

In tutte le aziende aperte, in quanto “necessarie”, devono costituirsi consigli di fabbrica in cui i lavoratori possano partecipare alle decisioni sui turni e le questioni di sicurezza. Una buona pratica da mantenere ed estendere alle altre aziende una volta finita la tempesta (art. 46).  

Una volta superata la crisi, allora sarà possibile attivare le risorse per lo stimolo fiscale, indispensabile a far ripartire la macchina e portarla a piena capacità. La faremo correre, veloce. Su una strada diversa. Quella precedente mentiva sulla sua destinazione. 

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