Chiara Zoccarato
Per anni abbiamo pensato a come infilare un paletto tra le ruote della macchina infernale del capitalismo. Quel paletto è piovuto dal cielo.
La macchina è ferma.
E’ una falsa scelta quella che ci viene presentata tra il dare aiuto immediato ai cittadini, all’economia e quella di volere un cambio di paradigma.
Il cambio di paradigma ci dovrà comunque essere o il paletto resterà tra le ruote.
Ci inganna, chi, come Draghi, crede di poter mettere in pausa il sistema attuale, dando carburante al motore, in quantità mai viste prima, perché non si fermi e poi la macchina possa ripartire, come ad un semaforo. Chi dice “riapriamo tutto!” anche a costo di mettere a rischio altre vite, non vuol capire che un nuovo arresto sarebbe inevitabile e non farebbe altro che allungare l’agonia del paese, compresa quella economica.
La Cina ha insegnato che prima di ripartire bisogna togliere il paletto.
E hanno potuto farlo, perché gli interventi sono stati massicci, mirati e risolutivi.
Una pandemia è un evento molto particolare, caratterizzato da politiche di quarantena e quindi dall’isolamento della forza lavoro e dalla chiusura di gran parte dell’attività economica.
Isolamento e lockdown sono inevitabili, non sono “accessori”. I focolai possono riattivarsi. E nemmeno è certo che dia l’immunità una volta guariti. L’arresto forzato è sia a livello nazionale, sia a livello globale, andando ad impattare in modo significativo sulle catene del valore e i circuiti di approvvigionamento.
La durata dipende dalla capacità di ciascuna nazione di contrastare l’epidemia.
Il paletto
Il contrasto al virus è prioritario e lo sforzo principale deve essere volto a quello.
La cura degli infettati ha bisogno di strutture ospedaliere dedicate, non solo per non alimentare il contagio, ma anche per assicurare continuità di cura agli altri cittadini, che è un diritto costituzionale. Il servizio sanitario è bloccato, la sua “capacità produttiva” è arrivata a saturazione. Sono rimandati esami, visite e il pronto soccorso non è più in grado di assicurare interventi tempestivi. Quindi COVID-19 o non COVID-19 siamo tutti a rischio.
Chi dice “andiamo tutti a lavorare con le mascherine, gli asiatici lo fanno, e non si ammalano”, dimentica questo fatterello, che se ti schianti col motorino ti passano a recuperare dopo ore. E poi, magari, ti becchi il virus in Pronto Soccorso. Così alla gamba rotta, aggiungi la polmonite. Geniale!
Il potenziamento del servizio pubblico è improcrastinabile. Ed è l’occasione per mantenerlo tale anche dopo. La sanità privata è solo un costo. Una ghiotta occasione di speculazione, di cui, come società, possiamo fare a meno. Questa crisi ce l’ha dimostrato ampiamente.
Servono spazi fisici, vanno riaperti reparti e ospedali chiusi, servono macchinari, presidi protettivi per gli operatori, sanificazioni ambientali, personale qualificato. Le assunzioni devono essere immediate, anche per sostituire le decine di medici e infermieri che si sono ammalati. Secondo Anaao Assomed, il bilancio finora è di 30 morti e 5000 contagiati. Una situazione scandalosa, dovuta alla mancanza di dispositivi adeguati, di cui non si parla abbastanza, ma è l’ennesimo elemento di realtà che ci fa capire che dalla crisi non siamo affatto fuori.
Serve un coordinamento pubblico della ricerca scientifica sul virus e la condivisione delle scoperte, evitando una privatizzazione della conoscenza, come ha giustamente fatto notare l’economista Emiliano Brancaccio, in un suo ottimo articolo, anche per altre considerazioni.
Serve una riconversione delle fabbriche per la produzione di mascherine, respiratori, attrezzature medicali in genere, detergenti. Tutta la popolazione deve essere fornita di mascherine adatte, non si può mandare in giro la gente a fare la spesa con i fazzoletti sul naso! Né si può permettere che i lavoratori delle attività essenziali vengano messi a rischio. Vanno dotati di protezioni.
Ci sono migliaia di disoccupati, tra quelli che già non avevano un lavoro e quelli che l’hanno perso per il virus. Dobbiamo garantire un reddito minimo a tutti, ma possiamo anche impiegarne molti nello sforzo collettivo di contrasto al contagio. E’ sempre meglio pagare qualcuno per fare qualcosa di utile e necessario, piuttosto che per tenerlo inattivo. Va lanciato un programma di lavoro pubblico che paghi uno stipendio pieno e metta a disposizione nuove forze per la sanificazione a tappeto, periodica e continuativa, di ambienti pubblici e privati, ma anche per la distribuzione porta a porta di cibo per gli anziani o chi ha bisogno, ben protetti e in modo sicuro, per non diffondere il contagio, in modo da evitare sforzi e rischi inutili alla parte più fragile della nostra comunità. Non lasciamo che venga fatto in modo disorganizzato e poco sicuro, affidandolo al buon cuore di qualche volontario.
Il programma potrà essere mantenuto a fine epidemia, riconvertito su altre attività di pubblica utilità e ampliato, per dare una base di domanda stabile all’economia e permettere una ripresa più robusta e sana, anche dal punto di vista sociale.
Il ritorno della programmazione economica
Queste iniziative, più la necessità di riorganizzare il mercato per superare eventuali strozzature nelle catene di produzione e di approvvigionamento, implicano un intervento di pianificazione pubblica. Il ritorno alla programmazione, inevitabile in questa emergenza, comporta di riflesso la sospensione dell’economia di mercato (a guida del mercato), che è stata promossa e idolatrata per decenni perché più efficiente. Abbiamo visto quanto. E’ deficiente. E sarebbe da deficienti continuare.
L’abbandono da temporaneo, deve diventare definitivo.
La ristrutturazione necessaria al superamento della crisi, getta di fatto le fondamenta per la costruzione di un nuovo sistema. Non sarà più come prima, non può esserlo. Nuovi elementi si sono inseriti e il quadro è già cambiato.
Abbiamo scoperto l’importanza dell’intervento pubblico per la salvaguardia della vita stessa, quella vita che gli interessi del capitale mettono volentieri a rischio pur di fare un buon profitto. Non dimentichiamo il ponte Morandi.
Abbiamo scoperto che il lavoro è tutto, è quello che manda avanti la baracca e tutte le manfrine sulla fine del lavoro, sull’inutilità degli operai e altre sciocchezze simili, erano la giustificazione per la distruzione dei diritti, la precarizzazione e la flessibilizzazione dei salari, oltre che per lo sfruttamento del lavoro a basso costo in altri continenti tramite le catene del valore globale, la cui fragilità è stata messa a nudo.
Abbiamo scoperto che il denaro si crea dal nulla e i bilanci pubblici si possono espandere senza limiti, e ce l’ha detto la figura più autorevole dell’economia mainstream, nientemeno che Mario Draghi in persona dalle colonne del Financial Times.
Abbiamo scoperto che il mercato è buono a fare una cosa, creare profitti, mentre per fare attività socialmente necessarie e perseguire l’interesse collettivo, l’intervento, la pianificazione e la partecipazione del settore pubblico sono indispensabili.
Il lockdown ci ha fatto anche scoprire quali attività sono fondamentali, e quali essenziali (vedi la relazione di Nadia Garbellini e Matteo Gaddi), senza contare che nella solitudine delle nostre case, lontano dalla frenesia consumista e della visibilità sociale, iniziamo a capire cosa è necessario e cosa lo è molto meno. L’importanza di soddisfare i bisogni, rispetto ai desideri, in particolare quelli indotti dal mercato, che ha bisogno di vendere le carabattole che produce, per continuare la giostra.
La lotta di classe non è mai finita
Warren Buffett tempo fa disse “la lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi”. Per anni è stata condotta una guerra ai lavoratori, con tutti i mezzi possibili. La propaganda, le suggestioni sulla fine della storia, sull’impossibilità di un’alternativa, la complicità di intellettuali e tecnici autorevoli al servizio di interessi privatistici. Abbiamo dovuto subire umiliazioni, privazioni, bugie, soprusi. Sempre per il nostro bene, futuro, e il loro profitto, presente. I sacrifici erano necessari, dicevano, e a essere sacrificati sono sempre stati i lavoratori, da quelli subordinati, a quelli autonomi per volontà o costrizione, a quelli precarizzati e ricattati, fino a quelli pubblici, derisi e insultati per anni, e oggi chiamati eroi. Sventurato quel paese che ha bisogno di eroi! Oggi il paese non ha bisogno di eroi, ma di persone disposte a lottare. Insieme.
Il pericolo del contagio, la pressione delle condizioni lavorative esasperanti, la mancanza di una risposta pronta alle necessità impellenti di sicurezza fisica, pane, certezze sul proprio futuro, ha portato migliaia di lavoratori ad aprire gli occhi e a dire basta. Ci sono stati scioperi, rivolte. La rabbia ha finalmente sostituito quel sentimento di rassegnazione che ci ha impedito di reagire in passato.
Se non spingeremo dal basso per ottenere gli interventi necessari, questa crisi non finirà e le perdite saranno enormi, sia dal punto di vista umano, che sociale ed economico. Pur nella frammentazione che l’isolamento comporta, dobbiamo trovare forme di protesta efficaci e solidali. E’ una lotta per la sopravvivenza.
Dev’essere molto chiaro che il prezzo di quest’emergenza non può essere pagato dalla classe lavoratrice. Si è già accollata i costi economici e umani di quella precedente, di cui non aveva colpa alcuna, ma che è stata causata dalla finanza speculativa. Oltre al danno, la beffa. La finanza è stata salvata con risorse pubbliche e manovre da lacrime e sangue. Abbiamo assistito al pagamento di miliardi su contratti derivati, mentre si tagliavano le pensioni, i posti letti in ospedale, etcc…
La ristrutturazione del sistema deve pagarla il capitale, in termini economici ma anche, e soprattutto, in termini di rapporti di forza. Dovrà arretrare dai posizionamenti acquisiti in settori dell’economia strategici, dalla rendita su servizi di pubblica utilità, dai sussidi di cui gode da anni, dalla legislazione compiacente, dalla pretesa di dettare le sue condizioni sempre, ovunque e comunque.
Lo Stato non è più in vendita. E’ nostro, ci serve, vogliamo indietro tutte le sue funzioni.
Dell’Unione Europea non parlo neanche. Se prima esisteva solo per dare fastidio, dopo aver dato un’oscena, ma finalmente onesta, rappresentazione di sé, è ormai defunta. Sopravvive in qualche feticcio, come la moneta unica e i fondi comuni. Dovesse ripresentarsi il MES, dovremmo piantargli un paletto nel cuore. E sono inaccettabili certe proposte, come quella di Quadro Curzio, che equivalgono alla capitolazione incondizionata ancor prima di avere perso la guerra. A certe anime vili si può solo rispondere “le vie del Signore sono infinite, pigliane una e vattene a fanculo” Certo, la questione europea va affrontata, ci dovremo fare i conti. La prima mossa in tal senso è proprio la volontà di uscire dalla crisi e procedere senza ulteriori indugi, anche da soli.
Dove troviamo i soldi nell’immediato?
Ci sono più proposte, in campo. Alcune vengono riassunte in questo articolo di Pier Paolo Flammini, altre sono riportate da Alessandro Visalli in “Draghi, lupi, faine e sciacalli” e dalla Prof.ssa Antonella Stirati
Il sistema bancario opera su licenza statale, darà il suo contributo all’interesse comune. Ha ragione Draghi a dire che le banche creano moneta, possono effettivamente farlo, se i prestiti sono garantiti dallo Stato. Possono anche anticipare la liquidità necessaria a pagare i sussidi ai lavoratori rimasti senza reddito. Giuseppe Vegas, ex Presidente Consob, supporta proprio l’utilizzazione del circuito bancario a questo scopo. La cassa integrazione possono anticiparla le aziende che hanno liquidità. A guardare il rapporto della Fondazione Sabattini “Imprese italiane: esiste davvero un problema di liquidità”, non sono poche. Cara Confindustria, son tempi di guerra, dici da tutti i tuoi giornali. Bene, allora anche per te.
Lo Stato deve assolutamente impegnare la spesa negli investimenti legati al contrasto dell’epidemia e alla riorganizzazione delle catene produttive e di approvvigionamento essenziali. Si spera, ovviamente, che la BCE continui a impegnarsi ad acquistare titoli sul mercato secondario per tenere basso lo spread (PEPP). Ma le nostre banche possono continuare a comprare i titoli di Stato sul mercato primario. Hanno riserve per farlo, effetto del QE di questi ultimi anni. Inoltre la BCE ha lanciato una direttiva in risposta all’emergenza coronavirus, per cui non possono fare buy-back, né distribuire dividendi agli azionisti. Mi sembra cosa buona e giusta.
Certo, facciamo debito. Certo, c’è il ricatto dello spread dietro l’angolo.
Il tempo scorre, serve denaro subito. Spendiamo subito tutto quello che riusciamo a mobilitare e togliamo il paletto. La macchina è ferma. Aggiustiamo la trasmissione, disattiviamo il pilota automatico. Se ci minacciano, togliamo anche lo strozzo al motore.
E ciao, amore ciao.
1 Recent Comments
05 Apr, 2020 at 7:13 PM |
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