di Alessandro Visalli
“Quando si va in guerra, è un errore frequente cominciare dalla parte sbagliata, agire subito e aspettare il disastro per discutere il problema”.
Tucidid
È raro vedere una fase storica nella quale la sottile vernice che ricopre la dura politica degli interessi è a tal punto messa alla prova. L’Europa è la patria di alcune delle più rilevanti utopie ireniche, sogni di pace perpetua attraverso il “dolce commercio”, primato del diritto, governo attraverso le regole, … Si tratta di uno spesso strato di retoriche che hanno circondato, sin dall’avvio, la costruzione europea nascondendo il duro spirito del capitalismo e, per esso, della logica di potenza delle élite cosmopolite impegnate in una costante guerra di classe, unita ad un’incessante guerra nazionale. Abbiamo sempre sentito raccontare di “comunità”, quando dietro le quinte si consumavano scontri all’ultimo sangue mascherati da sorrisi e strette di mano nelle conferenze stampa.
Le riunioni intergovernative sono sempre stare degli scontri all’ultimo sangue, spesso lunghissimi, per bande. La banda tedesca, i suoi alleati francesi, la punta olandese, il gruppo di Visegrad, gli altri ad adattarsi, spagnoli, irlandesi, e gli italiani, eterno vaso di coccio e felice di esserlo.
Se si potesse guardare con una tac il gruppone si vedrebbe lo scheletro degli interessi dell’alta finanza franco-tedesca sopra tutto, i muscoli della grande industria integrata gerarchicamente, le vene degli scambi commerciali e dei vari crocevia migratori della forza lavoro, ma non si vedrebbe altro. La volontà e gli interessi dei lavoratori e dei tanti completamente nascosto dalla forza dei pochi.
Ma la sottile vernice della “pace” attraverso il commercio copre tutto. Del resto, uno dei pensieri più radicalmente fondati del liberalesimo è che la ragione domina le passioni, e tra queste quelle che hanno a che fare con il potere. L’arte del governo consiste per esso nel tenere a freno le licenze e gli abusi del potere, che sono mosse dalle “passioni”. Nella versione che si afferma in seguito nella modernità l’avidità, la cupidigia, l’amore per il lucro sono contrasto all’ambizione, alla brama di potere. Questa è l’autogiustificazione del capitalismo e della prevalenza dell’economico sul politico. Degli interessi costituiti sulla volontà del popolo.
Ma è un inganno. La vera faccia del mondo si mostra in questi momenti.
La vera faccia è una sorta di spietato braccio di ferro multiplo e simultaneo. Nel quale decine di corpaccioni si contendono, per avidità, cupidigia e adesione allo spirito dell’accumulazione, pochi centimetri di spazio in via di rapidissima riduzione, cercando di buttare fuori tutti gli altri. Un assalto alle scialuppe nel quale i passeggeri di prima classe rivendicano la loro primogenitura, anche se i più deboli dovessero restare indietro. I più deboli sono inutili nel mondo spietato che sta dietro alla vernice cromata.
È lo spettacolo greco.
Ma l’Italia ha molta più forza potenziale di quanto pensa, e chi la vuole buttare fuori pensando che in tal modo sopravvive, ne ha molto meno di quanto noi gli attribuiamo. Per comprenderlo bisogna allargare il quadro, e vedere l’intero terreno di gioco.
Mettiamoci nella prospettiva del paese e cerchiamo di capire quale è la struttura che bisognerebbe padroneggiare per sopravvivere al duplice attacco della volontà di potenza di chi si sente al centro di un impero e delle élite nazionali che vogliono cogliere ogni occasione per riaffermare e proteggere il loro paese. Dall’esterno e dall’interno. Chi non comprende quali sono le fonti della sua forza e della debolezza dell’avversario, e si inganna credendolo amico, non può che essere sconfitto. Lo sconfitto, però, sarà il popolo italiano, partendo dalle classi lavoratrici (anche se poi perderanno tutti).
Ci sono sei variabili da tenere in considerazione:
- “l’effetto Cina”, si tratta dello scontro in accelerazione per il dominio del ‘soft power’ tra vecchie potenze imperiali e sfidanti egemonici sempre più coraggiosi. La carta primaria non è il denaro, che è contemporaneamente illimitato e irrilevante in circostanze come queste, ma sono i beni reali che saranno crescentemente scarsi, man mano che le economie si disorganizzano e si disconnettono. Qui c’è la carta decisiva, alcune zone del mondo sono stabili e tengono sotto controllo l’epidemia (rectius possono riattivare la socialità produttiva), mentre altre sono nella fase ascendente del contagio e quindi del lock down. L’asimmetria determina la struttura della variabile. Con il sud-est asiatico in faticosa riattivazione cominceranno le messe scalze, opportunamente riservate e naturalmente note a tutti, per pietire una o l’altra fornitura strategica e l’uno o l’altro accesso privilegiato alle proprie residue merci.
- “l’effetto corona”, con un numero di contagi che ha superato i 900.000 e che solo una settimana fa era alla metà, alcuni paesi sono sulla collina e vedono quindi la valle, altri faticano nell’ascesa senza ancora neppure intravederla (il numero di casi in Italia raddoppia ogni 12 giorni, in Usa ogni 6, in Germania e Spagna ogni 8, Francia 7, Gran Bretagna 6). La condizione psicologica è del tutto diversa, e il rapporto di forze implicato nello stato emotivo potrebbe rovesciarsi. Nella sottoarena europea quando si è tenuta la prima battaglia l’Italia era in ansia per la salita e l’accumulo dei morti, la Germania la guardava da lontano sicura della propria antropologica superiorità e della potenza della loro tecnica. Quando si terrà il secondo round noi saremo sulla collina e loro nell’ascesa, oggi hanno esattamente i casi che noi avevamo all’Eurogruppo della settima scorsa. La Francia gli va dietro, tentata di salvarsi da sola. Tic, tac, tic, tac, …
- l’effetto “capienza mercati”, con qualcosa come 28.000 miliardi di massa monetaria M2 stimata nel mondo i “mercati” non sono illimitati di per sé, il volume delle collocazioni di titoli per coprire le spese è stimato oggi in 10.000 miliardi e potrebbe ben superarli. Essi sono sempre legati per linee interne alla generazione di denaro da parte pubblica, e questa ai suoi effetti geopolitici, se il sistema europeo non si attrezza svolgerà surroga, a fronte dell’enorme e contemporanea richiesta, la Fed con i suoi swap. Ma non sarà senza prezzo. Il paradigma monetario e le sue pratiche resisteranno ma non supereranno la prova. Torneremo ad un mondo nel quale le Banche Centrali sono relazionate strettamente ai governi e il debito pubblico è monetizzato come prassi. Nel quale contano i valori reali e la finanza torna ad essere uno strumento (prezioso, ma a servizio). Ma intanto questa è una delle sottosale più affollate e sudaticcie, ieri abbiamo fatto un’asta di 8 Mld, 1,5 a 10 anni, e sono andate bene, ma il piccolo Belgio ha fatto lo stesso, oltre 8 miliardi, … comincia la corsa, aprile sarà un mese emozionante.
- L’effetto “arena Bce”, qualcosa ha già fatto, ma ben altro dovrà fare, dovrà decidersi a monetizzare le azioni di spesa necessarie, come fanno le Banche Centrali di tutto il mondo, e quindi a dipendere strettamente dalle indicazioni degli Stati nazionali che questa spesa programmano e realizzano. La Banca Centrale è nel medio termine il vero sovrano in questa soluzione, l’unica che dispone della soluzione, i nostri “vermepecora” (il network decisionale compradoro che ci troviamo in dote) non possono capirlo neppure se ci sbattono la testa dieci volte di seguito. Qui i più forti non sono i nordici, si decide a maggioranza e loro sono minoranza da anni sul Qe per la semplice ragione dei fatti. La dea necessità è contro di loro, e con chiunque trovino per provvisorie alleanze. Ἀνάγκη è un avversario invincibile.
- poi c’è la paura, Fobos, che ha due facce e non si guardano. La prima è la “paura rentiers” che morde soprattutto dalle parti di Francoforte. Il terrore degli Eurobond deriva dall’idea piuttosto remota (ma, si sa, fobos ottenebra la mente) che l’assumere debiti in comune possa coinvolgere i risparmi sudati (?) del grande nord.
- la seconda faccia di fobos è più giustificata, ma per ora tace frastornata, si tratta della “paura esportatori”. Se crollano i mercati europei “captivi” (quelli proprio dei “pigri”, si) a chi vendono? Forse ai cinesi? Auguri per la lunga camminata in ginocchio sui ceci…
Questo mi pare.
Dobbiamo capire che anche se ci sentiamo sconfitti non lo siamo. Dovremmo contare fino a dieci e poi aspettare che l’imperatore venga con la cenere sul capo e gli abiti penitenziali a chiedere udienza. Dovremmo essere duri ed inflessibili, anche se sembra lui il più forte non lo è. Più che la forza delle armi qui conta quella morale (questa la lezione di Gregorio VII), se si ha il coraggio della necessaria fermezza.
La nostra “grande strategia” dovrebbe essere di accettare anche di perdere le battaglie marginali, mentre arretriamo e prendiamo tempo, ma puntare a vincere la guerra non appena il nuovo mondo si paleserà. Dovremmo disorientare e confondere, parlare di uno pensando a due, guardare al mondo di dopo e non a quello di ieri. Controllare le emozioni. Affermare sempre visione e posizione morale.
Tenere quindi aperti tutti i tavoli, con calma e senza panico, nel frattempo collocare quanto basta nelle aste del Tesoro, sempre un poco di più di prima ma mai troppo, tenere quindi tesa la corda aspettandosi che la Bce dia copertura (non ha alternativa perché è nell’interesse di tutti ed è necessario, se anche qualcuno defezionasse tutti dovranno collocare enormi quantità di debito di qui a poco); eventualmente se proprio necessario per guadagnare tempo fare la garanzia congiunta dei soli paesi del sud, con chiunque ci stia, ma mai gli “eurobond” e tanto meno il Mes, comunque e chiunque lo proponga. Discutere, discutere, discutere. Poi garantirsi un dialogo con la Cina ma non rifiutare i regali americani. Tenere la pressione sui tavoli ma senza aspettarsi davvero nulla (solo per combattere la battaglia della propaganda e mobilitazione) arretrare mentre si tratta, senza perdere il contatto ma anche senza mai giungere a firmare alcunché. E lasciare passare aprile, poi maggio.
Aspettare che sia l’imperatore, con tutti i suoi alleati, che, per sopravvivere, venga da noi con il capo cosparso di cenere e l’abito penitenziale, i piedi scalzi. Allora farlo aspettare nel giardino per tre giorni. Poi dettare le nostre condizioni. Che sono le condizioni della nostra necessaria libertà.
A tempo debito, tra giugno e luglio.
Andrebbe così se non avessimo i “vermepecora”.