di Manolo Monereo,
Madrid, 4 aprile 2020
Alla memoria di Luciano Gallino, esempio di lucidità e coraggio morale in tempi duri e terribili.
La trama continua a esistere? Ormai non se ne parla più.
Mi riferisco al blocco di potere formato dai grandi gruppi finanziari e imprenditoriali, da una parte significativa della classe politica e mediatica emersi con forza inaudita dalla crisi precedente e che, in larga misura, la hanno diretta e controllata; eppure sono ancora tutti lì. Che non se ne parli più è un segnale inequivoco del fatto che hanno vinto la battaglia. Normalizzazione e normalità si mischiano e si strutturano reciprocamente. La normalità si è imposta e la normalizzazione è stata ferocemente perseguita. Essere parte di loro, ed essere come loro si è convertito in una trionfante parola d’ordine. Quasi senza rendercene conto stiamo approdando improvvisamente allo stato di eccezione, un’eccezione ricorrente che inizia a convertirsi in regola.
La parola chiave continua a essere memoria ed è necessario costruirla su solide fondamenta. I questi giorni c’è tempo per pensare, riflettere e leggere. Ciò che si cerca non si trova per caso. Ho fatto uno sforzo per ripassare la produzione giornalistica scientifica e storica sulla crisi del 2008.
Sulla crisi del 2008 ho scritto molto. Mi preme segnalare alcuni libri che mi paiono interessanti in questo momento. “La dottrina dello shock” di Noemi Klein, poi le memorie di de Varoufakis. Ho ripassato le analisi più intelligenti della Teoria Monetaria Moderna (MMT) a partire da Stuart Medina; il libro di memorie di Zapatero e, per ben situarmi nel contesto, “Il direttore” de David Jiménez.
Né voglio dimenticarmi della “Crisi dell’anno 8” di Juan Ramón Capela e Miguel Ángel Lorente.
Dobbiamo ragionare storicamente tentando di intrecciare lungo e breve periodo.Non è un compito facile, però va affrontato sapendo che si tratta di un che fare collettivo a partire da un dibattito generale e generalista. Per cercare di capire cosa sta succedendo è buona cosa partire da alcune idee preliminari.
La prima è che il coronavirus è stato l’innesco catastrofico di una crisi dell’economia capitalistica globale che era già latente. Erano mesi che si sapeva che stavamo arrivando a una crisi economico finanziaria.
1) Ciò che non sapevamo è da dove sarebbe arrivato il “cigno nero”.
2) il coronavirus rappresenta una dimensione nuova e inedita della crisi del capitalismo. il metabolismo fra la società umana e l’ambiente si sta sbilanciando a partire dal suo settore più fragile, l’agroalimentare. Gli specialisti da tempo richiamavano l’attenzione su questi fenomeni che, alla fine, si sono scatenati.
3) Questa crisi sancisce e dà senso a elementi che prima sembravano distinti; mi riferisco fondamentalmente, alla grande transizione geopolitica e alla lotta per l’egemonia fra grandi potenze. Il dato nuovo è che il centro di gravità del mondo tende – dopo 500 anni – a spostarsi verso oriente; a porre fine cioè al domino della geocultura occidentale.
Parlare di crisi significa anche parlare di rapporti di forza e di potere. Scordarlo significa perdere la bussola. E anche di questo non bisogna scordarsi: i costi sociali della crisi, nel capitalismo, sono sempre asimmetrici e colpiscono soprattutto i più deboli, quelli che vivono vendendo la loro forza.
Il punto non è auspicare una possibile ripartizione equitativa delle conseguenze della crisi, bensì nel pararne gli effetti più negativi e generare un modello sociale e politico più giusto ed egualitario. Il vero scudo sociale contro la crisi consiste nello sfruttarla per costruire nuove relazioni di potere che diano più peso alla classi lavoratrici, garantiscano i diritti sociali fondamentali e cambino le relazioni fra economia e società. Questo non si è fatto nella crisi precedente nella quale, al contrario, abbiamo assistito a un uso capitalistico della crisi per colpire sistematicamente i diritti del lavoro, sindacali e sociali.
Come è stato possibile quest’uso capitalistico della crisi?
Potremmo spiegarlo così: convertire lo stato di necessità in stato di eccezione. È qui che appare il ruolo della Ue. Le crisi svelano sempre i poteri reali. È la vecchia domanda sul sovrano. Un tempo, l’ultima ragione associava i poteri reali al tintinnare delle sciabole.
Oggi le decisioni di ultima istanza si prendono in luoghi più remoti da parte di una tecnocrazia politico-economica apparentemente neutrale. La Ue è stata costruita per questo, per spoliticizzare l’economia, e garantire il potere totalitario del capitale.
Chi impone lo stato di eccezione? La Ue e le sue istituzioni come vedremo presto.
Bisogna distinguere due momenti in questa, come nelle altre, crisi. Il primo è il controllo politico, il secondo i mezzi della ricostruzione. I due sono strettamente correlati.
Il governo PSOE-UP si sta sforzando di appoggiare i settori più deboli, prevedibilmente più colpiti dalla pandemia e dalla paralisi del sistema produttivo. Si è evidenziata una mancanza di coordinamento, di anticipazione della pandemia e un vuoto di unità di analisi e azione strategiche, del resto non dissimili da quanto avvenuto in Paesi vicini meno colpiti. La UE — come già successo la volta precedente – apparentemente offre “vie di fuga” ai Paesi in base alle vecchie regole di Maastricht , la BCE ha messo in gioco 750 miliardi per acquistare sul mercato secondario titoli di debito pubblici e privati.
Lo scontro Nord (Olanda e Germania) Sud ha a che fare con l’assenza di politiche specifiche della UE. Tre cose sono già chiare: non ci sarà mutualizzazione del debito; non ci sarà monetizzazione, come previsto dal MES, i finanziamenti saranno condizionati.
Resta da appurare quali saranno queste condizioni. Nuovi meccanismi come il SURE, restano da definire e approvare. Una cosa è chiara: la sua insufficienza a fronte dell’enorme gravità dei problemi provocati dalla pandemia. Lo stato di necessità si aggraverà enormemente nelle prossime settimane.
La congiuntura politica è segnata dal conflitto e dalla polarizzazione che lo stato di quarantena occulta a mala pena. Le destre scatenate fin dal primo giorno per delegittimare il governo. Si sono spinte al punto di prospettare quasi apertamente colpi di forza. Questo andrà avanti e siamo solo all’inizio.
Il punto sembra essere la figura di Pablo Iglesias e il forte potere di Podemos (UP). Occorre stare attenti, non guardare al dito piuttosto che alla luna perché la forza viene dal sole. Ciò che si nasconde dietro i poteri reali, la trama che già marca il territorio in vista della seconda fase; cioè che via imboccare quando la pandemia sarà sotto controllo. Ripeto, prima e seconda fase sono interconnesse. Sovrastimare il ruolo di Pablo Iglesias e UP è parte di una strategia che ha come obiettivo reale Pedro Sánchez. Quello di cui si tratta ora è spezzare l’alleanza di governo per indebolire la sua posizione in modo che si moderi e accetti di sottoscrivere dei nuovi “Patti della Moncloa” e, se possibile, formi un governo di unità nazionale con il PP con l’appoggio di Ciudadanos e Vox che, presumibilmente, non si opporrebbero a questa operazione.
Non è qui il momento di analizzare cosa furono i Patti della Moncloa. Sono parte dell’immaginario sociale che legittimò, durante gli anni della transizione politica, le norme fondative del Regime del 78. Cosa significa qui e ora un patto programmatico fra PP e PSOE? Puramente e semplicemente un cambiamento del modello costituzionale e sociale del Paese, la liquidazione del già indebolito stato sociale e consegnare il controllo della nostra economia ai poteri che comandano nella Ue.
Andremmo cioè alla colonizzazione della Spagna, alla fine della sovranità popolare e alla disfatta storica delle classi lavoratrici. Esagerazioni? Catastrofismo?
Non credo, già lo abbiamo vissuto e la durezza del dibattito politico lo lascia prevedere. Di più: con la popolazione confinata, con una sfera pubblica imitata e con uno stato di necessità che genera paura e insicurezza, i pericoli crescono ulteriormente. Il Palazzo, lo Stato profondo, non mollano mai stanno sempre lì a lottare per conservare il potere, per incrementarlo e per trasformare la crisi in uno strumento di autoperpetuazione. Non sarebbe nulla di nuovo per la nostra storia. L’oligarchia finanziaria e imprenditoriale persevera e tenta sempre di imporsi.
C’è una questione che non va dimenticata: la crisi della dinastia dei Borbone. Nella costituzione materiale del nostro Paese, la monarchia è una figura determinante e, come vediamo ogni giorno, inespugnabile. È il centro agglutinante del blocco di potere e delle istituzioni dello Stato. La sua crisi, in questo contesto, scatena allarme.
Il potere, i poteri, sono in conflitto e ci sarà una tremenda battaglia politica, sociale e culturale nei prossimi mesi. Lo scontro decisivo avverrà una volta di più nella Ue; lì si prenderanno le decisioni fondamentali e si determinerà il nostro futuro, lontano dal controllo dell’opinione pubblica, con un linguaggio indecifrabile per le maggioranze e, ciò che più conta, imposto alla sovranità popolare.
L’atmosfera di solidarietà che oggi è diffusa nei settori popolari rispecchia il desiderio di unità del nostro popolo. La sanità è già un bene pubblico e un diritto consolidato per l’insieme della popolazione. Ora dobbiamo spingerci oltre, rivendicare una educazione pubblica di qualità e gratuita; far sì che i diritti del lavoro, sindacali e sociali siano costituzionalmente statuiti, a partire dal diritto al lavoro e a un salario dignitoso.
Se qualcosa ci insegnano tutte le crisi è che occorre rivendicare con forza un programma chiaro, alternativo e possibile; ottenere il consenso popolare per ricostruire patria, popolo e sovranità.