di Stuart Medina e Manolo Monereo

Non si possono separare la politica monetaria da quella fiscale.

Ogni volta che ci si prova, le motivazioni di solito sono tutt’altro che innocenti e le conseguenze possono rivelarsi disastrose. Questa schizofrenia monetario-fiscale rappresenta spesso uno stratagemma per limitare il potere di uno Stato, subordinandolo a istanze antidemocratiche.

La moneta è un elemento fondante dei rapporti di potere non solo all’interno di uno Stato, ma anche fra gli Stati. L’architettura dei meccanismi di creazione e distruzione della moneta ha un effetto sulla possibilità di accedervi e, quindi, sulla sua distribuzione sociale.

In uno Stato capitalista, le banche, spesso private, sono autorizzate a operare in un altro circuito monetario che fa leva sulla moneta dello Stato. Il circuito inizia con la concessione del credito, che implica la creazione di depositi o di denaro bancario nel medesimo atto, e si chiude con il rimborso dei prestiti. Questo meccanismo conferisce un immenso potere alla classe capitalista perché gli permette di decidere quali risorse verranno mobilitate e quali attività economiche potranno realizzarsi. Ma allo stesso tempo, il sistema finanziario capitalista genera instabilità perché inanella cicli speculativi con periodi di depressione prolungati. Lo Stato capitalista crea categorie privilegiate che usufruiscono di un accesso privilegiato alla moneta per facilitare il processo di accumulazione. 

Lo Stato dotato di sovranità monetaria può compensare l’instabilità del sistema finanziario con una rigorosa supervisione bancaria e agendo in chiave anticiclica grazie alla sua capacità di emissione illimitata che gli consente di pagare per i “cocci” quando scoppia una bolla.

Come dice Warren Mosler, non c’è crisi finanziaria così profonda che non possa essere risolta da un deficit sufficientemente grande. Senza il sostegno delle istituzioni monetarie e fiscali dello Stato capitalista, il circuito monetario bancario sarebbe molto più instabile e forse insostenibile. Spezzare il circuito monetario-fiscale serve a indebolire il controllo democratico sul sistema finanziario e ad accentuare l’instabilità finanziaria.

Solo chi ignora la natura duplice del nostro sistema monetario e fiscale poteva progettare l’Unione Monetaria Europea. In sostanza, l’eurozona si è rivelata un esperimento straordinariamente malsano di schizofrenia monetario-fiscale che ha minato il controllo democratico e ci ha reso incapaci di rispondere alle crisi finanziarie ed economiche.

Basterebbe guardare al continente africano dove la più antica unione monetaria, quella del franco CFA, ha soggiogato le ex colonie francesi, condannando i loro popoli a cercare un futuro arrampicandosi  sul  filo spinato a Ceuta e Melilla o affrontando una pericolosa traversata su una zattera. 

La pandemia da COVID-19 e le sue conseguenze economiche esporranno in tutta la sua durezza la perdita della sovranità democratica e della capacità di risposta del nostro Stato. L’euro ci renderà più simili a quegli Stati falliti ancorati al sottosviluppo e assai meno a quegli Stati nordeuropei che tanto desideravamo imitare. 

La pandemia globale è stata come uno schiaffo in faccia a tutta la società. Tutti noi ricorderemo l’esperienza di aver vissuto in regime di confinamento per due mesi; la perdita dei propri cari; o il trauma della perdita del lavoro e delle attività economiche. La pandemia ci lascia una triste eredità economica.

Come nel mito di Sisifo, quando pensavamo di essere riusciti a riportare il  tasso di disoccupazione al livello antecedente alla crisi del 2008, il masso è rotolato nuovamente verso il basso. E ora dovremo ricominciare a spingere il masso con un tasso di disoccupazione che supererà facilmente il 20%. In Spagna è probabile che una persona su tre in età lavorativa sia attualmente disoccupata. 

La pandemia ha reinfettato la ferita non rimarginata dovuta alla crisi del 2008. È vero che altri paesi stanno per affrontare una grave recessione che potrebbe trasformarsi in una grande depressione. Ma pochi saranno colpiti così duramente come le grandi economie dell’Europa meridionale. Le tre penisole del sud si sono trasformate nel malato d’Europa. Dopo la precedente crisi economica, la loro crescita economica non è stata particolarmente brillante. Le politiche di austerità e di svalutazione interna hanno eroso la loro coesione sociale, indebolito la capacità d’azione dei loro Stati e reso impraticabile qualsiasi percorso di sviluppo industriale o economico che non sia la mera ripetizione di vecchi rituali di un tessuto economico obsoleto, generatore di un valore aggiunto decrescente. Gli alti tassi di disoccupazione e di emigrazione sono il prezzo che stanno pagando soprattutto i giovani. 

Non siamo vittime di una piaga biblica o di una tara genetica. Semplicemente ci siamo integrati in un’unione monetaria disfunzionale. Il nostro peccato è stato quello di aver rinunciato alle nostre banche centrali e alla nostra moneta. Questo ha compromesso la nostra capacità di controllare il sistema finanziario, poiché ci è mancato il soggetto emittente che avrebbe potuto salvare le nostre banche colpite dalla crisi finanziaria globale. In seguito alla pandemia, vedremo ancora una volta come la mancanza di sovranità monetaria ci impedirà di fornire una risposta adeguata. 

Pertanto, la crisi è di natura strutturale e si inquadra meglio come parte di un processo secolare di accentramento del potere economico verso l’Europa del Nord. Siamo destinati a trasformarci in una periferia sempre più irrilevante. La pandemia è solo uno dei fattori che hanno accelerato questo processo irreversibile di decadenza. 

Le nostre élite, deboli e compiacenti nei confronti dell’egemone europeo, si sentono incapaci di trovare al loro interno le soluzioni per implementare una risposta. Il quadro istituzionale europeo è una camicia di forza che non offre alternative. L’articolo 135 della Costituzione spagnola [inserimento del pareggio di bilancio qualche mese prima dell’Italia senza passare dal Parlamento dal governo Zapatero dopo aver ricevuto la stessa  lettera minatoria della BCE spedita al governo Berlusconi, NdT] richiede che i nostri conti pubblici abbiano un deficit  strutturale non superiore allo 0,40% del PIL.

È un bizzarro requisito di legge che subordina la nostra politica di bilancio a una cifra immaginaria, poiché tale deficit strutturale corrisponde al deficit che teoricamente esisterebbe qualora la nostra economia si trovasse in una situazione di piena occupazione. Il problema è che, per calcolare questo deficit strutturale, viene utilizzato un altro concetto altrettanto incomprensibile, definito “tasso naturale di disoccupazione”.

Il disegno bizantino delle regole fiscali europee ha barattato gli obiettivi reali con quelli immaginari: l’obiettivo non è più la piena occupazione o lo sviluppo economico, ma l’equilibrio dei conti. Quest’anno le autorità europee ci permetteranno un ora d’aria, ma presto dovremo tornare in cella. 

Sanchez e le sue ministre non possono ignorare che il loro successo elettorale dipende da una buona gestione della crisi post-pandemica. Inoltre sanno bene di avere bisogno di più fondi per gestire gli scudi sociali e i programmi di ricostruzione che eviterebbero la rovina di questo paese. Ma senza sovranità monetaria non possiamo generarli, dobbiamo procurarceli da qualche fonte esterna e ciò ci riduce allo status di mendicanti.

Una delle opzioni in ballo è quella di placare il “dio Mercato”, ma sarà impossibile presentare dei conti sufficientemente “in ordine” da rendere appetibili le nostre emissioni di debito pubblico.

Da qui l’interesse a far risorgere gli eurobond, recentemente ribattezzati “coronabond”, che consisterebbero in emissioni mutualizzate dei debiti dei Paesi del Sud, percepiti come meno solvibili, e di quelli dei Paesi del Nord, considerati più affidabili.

Gli Stati del Nord si sono rifiutati di compiacere Conte e Sánchez. Sembra ancora più improbabile che una tale proposta possa andare in porto se si tiene conto della recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca sulle operazioni di acquisto del debito da parte del Sistema delle Banche centrali Europee. Il Nord vuole i nostri mercati però non vuole creare meccanismi redistributivi che rendano sostenibile lo squilibrio commerciale.

I paesi settentrionali, meno colpiti dal COVID-19, ci hanno offerto una mancia: la concessione di prestiti dal fondo regolato dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Va chiarito che tutti i paesi della zona euro contribuiscono ai fondi da cui provengono i prestiti, tra cui anche l’Italia e la Spagna, secondo un criterio di ripartizione. 240 miliardi ai quali la Spagna contribuisce in proporzione alla sua incidenza sul PIL dell’area dell’euro. Si stima che potrebbe richiedere fino all’equivalente del 2% del suo PIL, ovvero circa 24 miliardi di euro. Tenendo presente che dovremo fornire l’11,9% dei fondi, non riesco a capire in cosa consista l’affare per la Spagna, soprattutto se si tiene conto delle condizionalità che certamente verranno richieste in futuro. 

È vero che ci è stato promesso che per quest’anno non ci sarà imposta alcuna condizionalità, ma non dimentichiamo stiamo parlando della sottoscrizione di un memorandum d’intesa con potenze straniere. È probabile che il governo spagnolo accetti questa offerta di salvataggio che minerà la nostra sovranità a discapito del Parlamento, che dovrebbe essere l’unico organo in cui vengono stabiliti i nostri limiti di spesa pubblica. Ricordiamoci che, nel caso in cui si dovessero rinegoziare le condizioni con i creditori del debito pubblico spagnolo, sarebbe il MES a diventare il nostro rappresentante davanti ai creditori al posto del governo spagnolo.

In ogni caso, questo strumento non è minimamente adeguato a coprire il fabbisogno finanziario di un vero piano di ricostruzione economica.

L’opzione più idonea, nell’ambito della zona euro, sarebbe quella di ricorrere all’ agevolazione offerta per quest’anno dalla Banca Centrale Europea (BCE), che ha annunciato di voler acquistare fino a 750 miliardi di euro di titoli di debito pubblico. Questo programma permetterebbe di collocare le emissioni di debito pubblico spagnolo sul mercato primario senza grandi difficoltà, poiché gli operatori saprebbero che il giorno successivo la BCE sarebbe pronta ad acquistarne gran parte.

Tuttavia, se accettiamo questa offerta, anche la nostra democrazia viene messa a repentaglio. In sostanza, ci viene detto che i nostri livelli di spesa pubblica e di debito pubblico possono essere più alti o più bassi a seconda dell’opinione o dell’umore dei responsabili dell’emittente nella zona euro, un’entità indipendente dagli Stati. Non è una questione banale. La scorsa settimana la Corte Costituzionale tedesca, in una sentenza sui poteri della BCE avviata dai conservatori tedeschi, ha chiesto alla BCE di giustificare il suo programma di acquisto dei titoli.

La Corte Costituzionale tedesca ritiene che la risposta data due anni fa dalla Corte di Giustizia Europea (CGCE) non fosse chiara e ha quindi messo direttamente sotto accusa la BCE. Ha inoltre ordinato alla Bundesbank di liquidare i titoli di debito pubblico in suo possesso acquisiti nell’ambito dei programmi di acquisto di attività della BCE.

Si tratta di oltre 500 miliardi di euro il cui improvviso rilascio sul mercato farebbe aumentare i premi di rischio e perturberebbe i mercati sovrani. Il caso evidenzia la posizione subordinata di paesi come la Spagna.

I conflitti di competenza che si stanno risolvendo tra la CGCE e il tribunale tedesco ci espongono a una crisi finanziaria che minaccia la fattibilità dei nostri piani di salvataggio. 

Per uscire dalla crisi post-pandemica sarà necessario mobilitare tutte quelle risorse che il settore privato, in questo momento, non è disposto o non è in grado di mobilitare. Quando la pandemia finirà, ci saranno sicuramente più di 5 milioni di disoccupati. Senza dubbio, lo Stato potrebbe mobilitare una parte di questi con progetti che ci consentirebbero un rapido ritorno alla normalità. Potrebbe anche generare la prevedibile domanda proveniente dal settore privato invitandolo a partecipare a progetti volti a realizzare una trasformazione del nostro modello energetico e produttivo. Per farlo, basterebbe creare moneta, cosa che si può fare con un computer. Il problema è che il governo spagnolo non ha più accesso alla tastiera.

Le tre soluzioni necessarie per la sfida del finanziamento di un piano di ricostruzione – coronabond, MES e il programma di acquisto d’emergenza pandemico della BCE – richiedono l’approvazione di organismi che non sono soggetti alla sovranità democratica del popolo spagnolo. Tutti richiedono il benestare dei mercati finanziari, delle potenze straniere o di un organismo governato da tecnocrati presumibilmente indipendenti.

Basterebbe avere una Banca Centrale a disposizione, un piano di sviluppo ambizioso e la determinazione a realizzarlo per fare della Spagna uno dei paesi più prosperi del pianeta. Ma tale audacia non è nei piani del nostro governo o dei partiti politici. 

Sono passati decenni da quando le élite di questo Paese hanno rinunciato a governare e hanno preferito cedere la sovranità ad altre entità. Hanno trovato conveniente smantellare le imprese pubbliche e avviare un processo di “modernizzazione”, eufemismo utilizzato per descrivere  una serie di riforme strutturali che hanno liberalizzato  i mercati e soppresso i diritti dei lavoratori. Il progetto europeo è servito da obiettivo e da giustificazione per ciò che le élite volevano realizzare in questo paese. Il che ha significato  sottomettere la nostra politica economica alla volontà di poteri superiori e accontentarsi di accettare un ruolo subordinato in Europa, integrando le nostre aziende nelle catene del valore europee a livelli intermedi o inferiori. La perdita di sovranità è stata aggravata dalla cessione della nostra moneta e la rinuncia a una nostra Banca Centrale, camuffata dall’elezione dei membri di un Parlamento Europeo, che agisce solo da semplice sanzionatore delle decisioni prese dagli Stati egemonici. 

La società spagnola ha pagato un prezzo molto alto in termini di benessere, opportunità professionali e sviluppo economico. Le istituzioni europee non governano per il bene del popolo spagnolo, ma per gli interessi delle oligarchie capitaliste. La prima grande recessione di questo secolo, con la virata verso l’austerità imposta nel 2010 da Bruxelles, Francoforte, Parigi e Berlino, avrebbe dovuto mettere in piena luce questa dura realtà.

Le élite spagnole si sono convertite nei caporali del latifondo germanico. Non sono in grado di concepire alcuna soluzione che non provenga direttamente dai loro superiori gerarchici. Per i politici spagnoli, le soluzioni ai nostri problemi possono venire solo da una potenza straniera. L’atteggiamento supplichevole, gli appelli alla solidarietà tra Paesi che condividono un progetto europeo, si sono risolti con i commenti umilianti da parte degli olandesi il cui primo ministro preferisce compiacere un popolo che ci vede come il capro espiatorio per i danni causati dal neoliberismo.

Il tribunale tedesco ha dimostrato che il suo paese è in grado di premere il grilletto per lo scioglimento dell’euro se è nell’interesse delle sue élite. In Germania è in corso una battaglia tra ultra-conservatori ostili all’euro, con convinzioni errate sul ruolo della politica monetaria e miti arcaici sul risparmio, e oligarchi esportatori, che sanno che il loro successo commerciale dipende dal continuare a sfruttare i mercati del Sud e per questo hanno bisogno della moneta comune. La battaglia si risolverà senza dubbio a loro favore, per ora, e la moneta comune durerà finché questi mercati potranno continuare ad essere sfruttati. Ma quello che le élite tedesche non permetteranno mai è lo sviluppo di un vero concorrente nel Sud Europa.

Noi di Asociación Red MMT abbiamo pubblicato un Manifesto con cinque proposte che sarebbero in grado di farci uscire dal pantano delle norme fiscali. La loro applicazione richiede un esercizio di sovranità. Manca solo la volontà di difendere il popolo spagnolo e, soprattutto, dei suoi governanti.

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fonte: https://www.cuartopoder.es/ideas/2020/05/12/soberania-monetaria-o-barbarie/

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