Il dibattito pubblico sta impostando l’intera grande questione dell’immigrazione dall’esclusivo punto di vista del mercato. Come per tutte le misure del governo anche in questo ultimo “Decreto Rilancio” nessuna prospettiva di effettiva ri-organizzazione di sistema viene contemplata.
Tutti gli aiuti previsti vanno nella direzione di sostenere il privato che, in possesso dei mezzi di produzione, a sua discrezione assume i lavoratori alle condizioni date. L’intera operazione in corso, quando avrà compiuto il suo cerchio, si tradurrà in una maggiore debolezza del mondo del lavoro ed in un apparente sostegno a quello datoriale. Apparente perché ne favorirà e supporterà solo le tendenze più immediate, fornendo ancora un poco di metadone che rinvierà il momento in cui la debolezza strutturale dovrà essere curata con investimenti.
L’Italia è come un malato grave, da tempo cronico, al quale sono dati esclusivamente antidolorifici, per timore di portarlo sul tavolo operatorio.
Solo gli investimenti, pubblici e privati in coordinamento, possono ottenere quell’incremento di produttività che crei condizioni sane, autosostenute, e non subalterne per riassorbire l’immane quantità di lavoro debole e di disoccupazione nel nostro paese.
Solo l’effettivo riassorbimento in posizione non subalterna, e garantendo la pari dignità di tutti, del lavoro debole presente nel paese potrà a sua volta creare le condizioni strutturali perché l’Italia ricominci a crescere. Soprattutto le condizioni perché diventi un paese decente.
Un paese nel quale valga la pena di crescere, restare e investire gli affetti, risolvendo anche la crisi demografica.
Le misure di regolarizzazione promosse dal ministro Bellanova e poi accolte, allargandole ulteriormente, dal governo sono concettualmente giuste ma improprie ed inopportune nel contesto dato.
Con altri milioni di disoccupati, che si aggiungono a un dato senza precedenti nella storia del paese, l’ennesima sanatoria con un contributo minimo del datore di lavoro e/o lavoratore prefigura la stabilizzazione nei settori dell’agricoltura e del lavoro domestico di una struttura che persino un autore di pura scuola neoliberale come Ricolfi chiama “paraschiavistico”.
La verità è che lo scudo penale per gli sfruttatori, e l’allargamento di diritto dello sbilanciamento del rapporto tra offerta e domanda di lavoro, è interamente pensato dal punto di vista del datore di lavoro e del capitale. Non è adeguata protezione di abusi, e potrebbe attrarre ulteriore immigrazione temporanea o di rotazione e transito.
Una misura simile avrebbe assunto già un sapore diverso se accompagnata da inasprimenti drastici delle pene per chi favorisce l’immigrazione clandestina, in qualsiasi forma, e ne sfrutta il lavoro, e, per renderle effettive un potenziamento immediato e massivo delle forze impegnate nel controllo.
Se, ovvero, accompagnato da un piano di emergenza di assunzione nell’ispettorato del lavoro, nei tribunali del lavoro e nella guardia di finanza.
Viceversa, le proposte alternative, che parlano di sostituire la regolarizzazione dei clandestini con il lavoro forzato dei percettori del reddito di cittadinanza, sono, chiunque le promuova, ancora peggio.
Rappresentano l’estremizzazione di questa stessa logica. Si parte dal presupposto che il lavoro debba continuare ad essere debole e mal pagato. Addirittura, si propone che a pagare sia lo Stato, garantendo al datore di lavoro coatto semigratuito, deformando la misura più ambiziosa del passato governo.
Su questo punto bisogna essere netti, senza riguardi perché il punto è dirimente. Troppe forze si lasciano tentare da questa facile scorciatoia, mostrando la loro subalternità alla cultura neoliberale dominante. Dispiace doverlo ricordare, ma chi ha il reddito di cittadinanza non lo riceve per lavorare gratis per famiglie o imprenditori agricoli, abbassando implicitamente ma necessariamente il livello al quale il mercato remunererà i lavori di tutti. Si tratta di un reddito minimale di mera sopravvivenza, espressione del diritto costituzionale definito dall’art.3 ed espressivo della pari dignità sociale.
Bisogna comprendere che la causa prima delle condizioni di crisi nelle quali siamo sono i bassi salari e l’estrema debolezza contrattuale del lavoro, non certo le difficoltà dei datori di lavoro. Queste sono conseguenze di quelle, e della debolezza della domanda che ne consegue.
Dobbiamo interrompere la spirale verso il basso, che alla difficoltà di riproduzione del capitale, per la progressiva scomparsa della domanda interna (e contrazione dell’estera), risponde sempre in modo miope riducendo ancora di più i salari, aumentando la competizione tra lavoratori, importandoli se necessario, e garantendo che sempre più costi siano assorbiti dallo stato. Come una dose di metadone in più la protezione dei profitti privati, assecondandone le inclinazioni allo sfruttamento crescente, alla fine aggrava il problema e danneggia tutti.
Questa logica va invertita. Lo stato deve sostenere i lavoratori, la loro capacità di spesa, riattivando dal basso e non dall’alto il circuito economico. Deve investire direttamente, nei settori cruciali e strategici, procedendo anche a nazionalizzazioni ed entrando nel capitale (nessuna risorsa pubblica senza controllo), favorendo la progressiva ri-organizzazione del sistema. Abbiamo bisogno di più industria e di meno intrattenimento, di meno turismo e meglio organizzato e di più servizi pubblici di prossimità e centrali. Dobbiamo superare la guerra tra poveri, contrastando la disgregazione e l’attuale disperato ripiegamento narcisistico, la marginalizzazione e precarizzazione di sempre più cittadini o immigrati. Rompere la competizione per le abitazioni, il welfare, il salario.
Bisogna unire un severo controllo dei flussi al rispetto della legalità, assicurare la piena integrazione di coloro che hanno i requisiti (integrazione economica, sociale e culturale). Dobbiamo lottare fermamente contro ogni discriminazione di qualsiasi genere, ma rigettare allo stesso momento l’idea che le società nazionali siano solo provvisorie aree di passaggio da sfruttare (facendosi al contempo sfruttare) provvisoriamente. Entrare in un paese non è prendere un taxi, è condividere una comunità, diritti e doveri.
Abbiamo bisogno che nessuno sia lasciato solo ma non che tutto sia salvato.
Non possiamo tornare al passato, perché era quello il problema.
Foto di Michael Volkmann da Pixabay
1 Recent Comments
17 Mag, 2020 at 4:27 PM |
Ma il reddito di cittadinanza non era inteso come finalizzato a trovare un lavoro? Naturalmente a prezzo pieno, non sostituito dal reddito di cittadinanza.