Di Manolo Monereo, traduzione di Carlo Formenti

Per Augustina

Lo colpì molto la morte di Susana López. Mi chiamò con un tono per lui inusuale, come disperato. Susana aveva telefonato ad amici e amiche per quello che, consapevolmente o meno, era un addio.

La sua compagna Augustina, in seguito me lo confermò. In quei giorni mi chiamò anche per parlarmi del Manifesto che stava preparando. Gli dissi che lo avrei firmato anche senza leggerlo ma lui si oppose: voleva che ne facessi un’analisi critica e che gli dessi un mio contributo.

Bisognerebbe partire dall’essenziale: Julio era una persona rigorosa. Non comune, singolare con un carattere molto forte, in parte autocostruito. Coraggio, audacia e orgoglio ne definivano lo stile che traspose in politica. Era maestro, storico e appassionato di teatro. Conosceva bene le regole del discorso e le chiavi della retorica politica. Il suo approdo al comunismo fu prima di tutto, come per molti della sua generazione, un impegno etico verso le classi lavoratrici, verso le persone comuni.

Conosceva nei minimi dettagli la storia di Spagna, di Cordoba e dell’Andalusia e conosceva assai bene le caratteristiche del capitalismo spagnolo. Non parlava mai per sentito dire, ha studiato molto fino alla fine della sua vita, e ha imparato a circondarsi di gente che gli apportava conoscenze e informazioni.

Fu un eccellente amministratore pubblico. Aveva saldi principi ma non fu mai un dottrinario. Questo è importante da tenere presente. Da sindaco, non ebbe problemi a gestire la città con la opposizione, ottenne il consenso non con discorsi astratti bensì con un programma politico concepito come un contratto con la cittadinanza.

Aveva un grande fiuto ed era dotato di grande intuito per cogliere gli orientamenti elettorali. Approdò alla politica regionale e nazionale come un innovatore, lo è sempre stato da molti punti di vista. Prima che cadesse il Muro capì che un ciclo storico stava giungendo a termine e che occorrevano una nuova politica e nuove forme per praticarla. Questo generò equivoci dentro e fuori dal PCE. Molti lo consideravano di destra e lo appoggiavano per questo. Si sbagliavano e continuano a sbagliare. Julio era un innovatore della tradizione comunista restandone all’interno.

Capì rapidamente che il tipo di modernizzazione capitalista organizzata da Felipe González avrebbe avuto conseguenze negative per la struttura produttiva spagnola e per i diritti di lavoratori e sindacati; che ipotecava un futuro che molti si illudevano sarebbe stata la fine di un ritardo storico e il nostro approdo alla modernità.

Il dibattito su Maastricht fu molto aspro per questi motivi. Parte della direzione del PCE e di IU gli consigliò di evitare lo scontro ritirandosi su terreni meno insidiosi. Anguita non tentennò e seppe dare battaglia. Qual era la posta in gioco? La stessa di adesso, un’idea di alternativa; cioè superare davvero il modello neoliberale andando fino alle ultime conseguenze.

Quello che venne dopo è noto: una campagna sistematica di demolizione di una persona che era divenuta il referente di una base sociale complessa e in ascesa. Tutto ciò che abbiamo visto contro Unidas Podemos si praticò alla grande contro Julio Anguita e contro IU: interventi dell’apparato di Stato (e dei suoi bassifondi), gruppi imprenditoriali e mediatici, e una schiera di intellettuali acquisirono merito per essersi convertiti in quelli che Manolo Sacristán definiva “luogotenenti”.

Parlare male di Anguita era meritorio e un segno di rispettabilità sociale. Senza la spaccatura interna in IU non sarebbe stato possibile l’isolamento politico e la successiva sconfitta elettorale. Anguita somatizzava tutto e il suo primo infarto ebbe a che fare con questo clima.

Si è molto parlato della Transizione in relazione a Julio Anguita. I veri contenuti dell’accordo li abbiamo conosciuti dopo. Il nuovo Segretario Generale, di fronte agli altri dirigenti del PCE, non ha mai imbellettato la realtà della Transizione e delle sue conseguenze. Seppe che era uno scambio ineguale e che aveva i suoi costi. In un momento complesso, quando Anguita denunciò l’uso perverso che si stava facendo della Costituzione e come i suoi aspetti più progressivi venissero annacquati o semplicemente ignorati, annunciò pubblicamente che il PCE e IU erano pronti a porre il tema della Monarchia al centro del dibattito.

Quelli che comandano senza presentarsi alle elezioni capirono che si era andati oltre il consentito e fecero uso di tutte le potenti armi a loro disposizione contro un progetto che violava quelle regole del gioco non scritte che stanno al di sopra della Costituzione.

La corruzione dei Borboni già si stava convertendo in un elemento significativo del sistema di potere.
Anguita, che aveva la vista lunga, si rese conto di non essere in condizione di guidare un progetto come IU e il PCE e progettò la propria successione secondo un processo che avrebbe dovuto essere ordinato e democratico. Non fu possibile. Rinvio a ciò che lo stesso Anguita mi ha raccontato.

La sola cosa che posso dire al riguardo è che Julio visse assai male questo passaggio e non si sentì’ sostenuto d quelli che considerava suoi amici e compagni. Tornò ai suoi allievi e al suo stipendio di insegnante. Alcuni media – i nemici non dimenticano e non perdonano – si dedicarono per mesi a mettere in questione la professionalità di un uomo che considerava come un onore il proprio ruolo di maestro.

Il 15M lo riconobbe come interlocutore. Anguita partecipò al dibattito secondo il suo stile, dire la verità, argomentare con serietà e non tradire un movimento che stava nascendo. Con modestia, segnalò i suoi limiti, la necessità di darsi un progetto riconoscibile e di organizzarsi senza perdere spessore sociale.

Difese l’unità fra IU e Podemos andando al di là di una semplice coalizione elettorale e parlamentare. Condivise i sogni dei comitati unitari nei quartieri, delle assemblee aperte e di una mobilitazione sociale che andava molto al di là dei cicli elettorali.

Ora ci lascia. La sua ultima preoccupazione, quella di sempre: non basta governare, gestire, occorre coinvolgere gli attori sociali, costruire organizzazione e mobilitare il popolo nel momento in cui si entra in una fase caratterizzata da una pandemia globale, da una crisi economica di grandi dimensioni e dalla disoccupazione di massa.

Il suo ultimo documento, il Manifesto, si è convertito nel suo testamento e fa di noi i suoi esecutori.

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