Un’epidemia circola indisturbata da oltre cento anni nel nostro paese senza che ancora sia stato trovato alcun antidoto efficace. Questa epidemia si chiama burocratismo: parossismo burocratico.
Era il lontano millenovencentodiciotto (1918) quando fu varata la prima Commissione per la Semplificazione. L’anno successivo fu votata la prima legge! Ma l’epidemia è rimasta inarrestabile a differenza della contemporanea “spagnola”.
Nei tempi odierni, mentre gli italiani hanno dimostrato di essere migliori dei loro rappresentanti politici e della burocrazia di quello che dovrebbe essere il loro Stato, il coronavirus ha alimentato il burocratismo a livelli inimmaginabili.
Ciò a partire da incertezze e numerosi errori nelle procedure burocratiche con cui affrontare un’epidemia che hanno amplificato il contagio. Senza queste inadempienze e incapacità i morti sarebbero stati meno della metà, si sarebbero potute adottare chiusure selettive, l’impatto economico e sociale sarebbe stato molto meno pesante. I provvedimenti adottati sembrano invece una maionese impazzita. All’11 maggio si registrano 160 provvedimenti del governo.
Il decreto “Cura Italia” si espande per 116 pagine ma la cassa integrazione ed i 600 euro arrivano a rilento. Il cosiddetto “Rilancio” di pagine ne totalizza ben 465.
Siamo fra i paesi, nonostante il bicameralismo, più prolifici in materia di leggi. Ma non ci accontentiamo. Ad ognuna di queste aggiungiamo innumerevoli decreti attuativi. Da governo Monti a Gentiloni quelli previsti sono 641. Molti di questi non hanno visto la luce e 2/3 delle leggi non sono state completate. Nel 2018/19 i decreti attuativi sono stati 241 ma solo 48 hanno trovato compimento. Del 2020 ovviamente non abbiamo notizie, ma già bastano Decreti Legge, Dpcm, ordinanze nazionali, regionali e le ineffabili autocertificazioni.
La burocrazia italiana è 18° fra i paesi dell’Unione Europea: in zona retrocessione dunque. Il presunto costo del burocratismo è calcolato in 55 mld l’anno: il doppio di ogni finanziaria. La stessa cifra del Decreto Rilancio.
Le regioni a loro volta hanno promulgato 300 provvedimenti. Ognuna ha teso a fare a modo suo. Al di là del merito dei singoli provvedimenti, abbiamo assistito ad un esteso presenzialismo a Roma come nelle periferie. Su certe materie, infatti, Stato e regioni hanno competenze concorrenti. La parola, nel senso etimologico significa: “correre insieme”. In pratica, invece, significa concorrenza: “competere per la stessa cosa”.
Né è mancata la Task Force di decine di esperti. In realtà, è la Task Force che non è servita a nulla, nemmeno come foglia di fico. Si è poi aggiunto l’INAIL che intendeva decidere la distanza di tavoli e ombrelloni e quant’altro: un manicomio.
A questo sommario elenco non poteva mancare la burocrazia bancaria. Quella burocrazia che per anni è stata foraggiata dal QE unionista senza dare in giro un soldo.
Ebbene, delle potenziali richieste per i prestiti fino a 25.000 €uro ne sono state evase solo l’1,3%. Per tale richieste servono ben 19 documenti!
Eppure le banche dati sono stracolme di tutte quelle informazione che vengono ri-chieste. Un assurdo. Basterebbe presentarsi con la carta d’identità, il resto è già tutto a disposizione. La Corte dei Conti ha scritto che lo Stato spende ogni anno 5,8 mld per l’informatizzazione e digitalizzazione, ma con “ … un utilizzo inefficiente”.
Nulla di nuovo in realtà: è un nodo e un cancro che ci portiamo dietro dall’Unità d’Italia, passando per il fascismo, la prima e la cosiddetta seconda repubblica.
I problemi non vengono affrontati con competenza, razionalità, programmazione ma con la proliferazione di norme atte a dare potere o a parare il culo alla pletora di dirigenti di ogni ordine e specie. Di questo stato parossistico fanno parte ovviamente le numerose e sovrapposte responsabilità.
Su ogni materia o questione coloro che devono decidere sono tanti: tutti responsabili, nessun responsabile, basta scrivere documenti pieni di norme, codicilli, allegati. Se poi sono inapplicabili, vedi le norme di sicurezza per la riapertura, non è un problema dei colletti o culi bianchi, ma di quelli che li devono mettere in opera.
Se da una parte c’è la bulimia (come l’ha chiamata qualcuno) del controllo preventivo e burocratico, dall’altra c’è l’anoressia di quasi tutti gli organi di controllo reale.
Le epidemie sono state un passaggio per riorganizzare in modo moderno l’amministrazione.
Scrive lo storico Massimo Firpo: “Nell’affrontare la peste del ‘300 si è delineato un atteggiamento razionale nei confronti del morbo basata sull’esperienza e la necessità di una normativa pubblica anche in materia sanitaria affidata ad appositi uffici con burocrazia, polizia destinati a emanare norme e a verificarne il rispetto”. Impareremo di nuovo qualcosa!?
NO! E’ già partita una campagna intensa contro l’eccesso burocratico. Affondano la lama nel burro ovviamente.
L’obiettivo però è malefico: smantellare ogni controllo preventivo o a posteriori.
Così si apre ancora di più la prateria di un capitalismo ancora più selvaggio, individualista, vorace di quello già nefasto del pre-coronavirus.
La solita borghesia cialtrona vuole soldi pubblici e mani libere per spolpare fino in fondo il paese e le sue classi popolari, il suo ambiente. Chiedono soldi anche coloro che hanno sede nei paradisi fiscali o che hanno solo guadagnato meno. Senza vergogna!
Il tutore di tutto ciò, non v’è dubbio, è l’ineffabile Salvini che sul Sole 24 propone condoni fiscali, urbanistici, ambientali. Straparla nonostante il suo modello lombardo sia stato un disastro totale. In Cina la Lombardia l’avrebbero commissariata.
È dunque tempo di passare da: “Stateacasa” ad “Andatetuttiacasa”!