E’ appena uscita l’edizione italiana di una raccolta di saggi di Manolo Monereo ed Hector Illueca dal titolo “Un progetto di liberazione. Repubblica, sovranità, socialismo” (Meltemi editore).
Monereo (già militante del PCE, da cui fu espulso per le sue critiche alla linea del partito durante la transizione democratica, poi dirigente di Izquierda Unida, infine deputato di Podemos per la circoscrizione di Cordoba) e Illueca (ispettore del lavoro e professore di diritto del lavoro, attuale deputato di Unidas Podemos eletto nella circoscrizione di Valencia) sono due noti esponenti della sinistra spagnola che, in questo lavoro, affrontano tre nodi cruciali del dibattito teorico contemporaneo:
- crisi della globalizzazione (cui manca un aggiornamento sullo shock del coronavirus),
- Europa
- prospettive di un progetto capace di coniugare lotta per l’indipendenza nazionale e transizione socialista.
Quella globalizzazione che ci viene spacciata come l’esito di un processo “naturale”, l’approdo necessario e irreversibile a un’economia mondiale aperta e integrata, denunciano gli autori, non è altro che l’estremo tentativo degli Stati Uniti di conservare la propria egemonia.
Una mossa strategica che ha fatto sì che l’economia del XXI secolo somigli a quella del XIX: concentrazione spaventosa della ricchezza e progressione geometrica delle disuguaglianze.
Per analizzare la forma specifica che la globalizzazione neoliberista ha assunto in Europa, Monereo e Illueca ripercorrono l’analisi di Samir Amin e altri teorici dello sviluppo ineguale e del sistema mondo: negli anni Settanta, contrariamente a quanto sostenuto anche da molti intellettuali di sinistra, il colonialismo non è finito, ha abbandonato la forma classica dell’occupazione territoriale per assumere quella dell’espropriazione sistematica di risorse dei Paesi del Sud; un dispositivo fondato sull’economia del debito pubblico governata dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale e sull’asservimento delle borghesie nazionali, un destino cui si sono sottratte solo alcune nazioni emergenti come la Cina e l’India.
Ma la relazione centro-periferia non si applica solo ai rapporti fra Occidente e Terzo mondo, vale anche all’interno del territorio europeo. Del resto già il nazismo aveva tentato di colonizzare gli altri Paesi europei, attuando una sorta di continuazione della politica coloniale sul territorio europeo. Altri esempi di colonizzazione interna sono quelli dell’unificazione italiana del 1861 e di quella tedesca del 1990, due casi di brutale annessione delle regioni deboli dei due Paesi da parte delle regioni dominanti sul piano economico e politico.
Per questi motivi, scrivono Monereo e Illueca, “L’apparato concettuale della teoria della dipendenza risulta imprescindibile per comprendere l’autentica natura del progetto europeo”, visto che il processo di costruzione della Ue ha caratteristiche simili a quelle del processo di subordinazione dei Paesi ex coloniali alle nuove potenze imperiali. Come dimostrato dalla tragedia della Grecia, gli “aiuti” europei ai Paesi indebitati svolgono lo stesso ruolo di quelli del FMI, servono cioè a imporre la legge dell’economia del debito, e le borghesie dei Paesi dell’Est e del Sud Europa svolgono lo stesso ruolo delle borghesie compradore dei Paesi ex coloniali nei confronti della nazione egemone, la Germania, sono cioè delle “lumpen-oligarchie” che si comportano “come il partito dello straniero che garantisce la subordinazione e l’assoggettamento economico alla potenza egemonica nello spazio europeo”.
Contro questo stato di fatto abbiamo assistito a una serie di “insurrezioni plebee e nazional-popolari” che hanno assunto colorazioni ideologiche diverse: da un lato abbiamo le rivoluzioni bolivariane in America Latina, le primavere arabe, Occupy Wall Street, il 15M, i gilet gialli, il voto inglese sulla Brexit, il voto italiano contro le riforme costituzionali proposte da Renzi e la nascita di nuove formazioni politiche come Podemos, France Insoumise, il Movimento 5Stelle che prendono distanza dalle sinistre compromesse nella gestione di politiche neoliberiste e antipopolari; dall’altro lato crescono reazioni nazionaliste e xenofobe incarnate da leader come Salvini e Marine Le Pen.
Questa ondata “populista” (che le élite politiche, economiche e mediatiche rappresentano come una minaccia totalitaria al sistema democratico) è espressione della domanda di protezione dei perdenti al gioco della globalizzazione (precari, disoccupati, lavoratori poveri, classi medie proletarizzate, artigiani, piccoli e medi imprenditori, dipendenti pubblici minacciati da privatizzazioni e tagli alla spesa sociale, ecc.) i quali chiedono sicurezza sociale e livelli di reddito capaci di garantire una vita dignitosa. Che questa domanda sia oggi rappresentata soprattutto formazioni di destra, accusano Monereo e Illueca, dipende dal fatto che le sinistre socialdemocratiche e radicali, essendosi convertite al liberismo e avendo spostato la propria attenzione dalle classi subalterne ai ceti medio alti, incarnano una cultura elitista e cosmopolita che disprezza il popolo.
In questa situazione alle versioni “di sinistra” del populismo spetta il ruolo di costruire alternative in una fase in cui queste non sembrerebbero più praticabili.
Il rischio, tuttavia, è quello di interpretare tale compito nei termini d’una banale alternativa elettorale. Costruire un’alternativa credibile al bipartitismo per andare al governo non basta. Monereo e Illueca invitano a guardare a orizzonti più ambiziosi perché, se è vero che l’alleanza fra Podemos e Izquierda Unida ha dato vita a una coalizione elettorale che ha ottenuto risultati importanti, è altrettanto vero che la sua influenza è rimasta confinata sul terreno dell’opinione. Le sono mancate la capacità e la volontà di radicarsi nel territorio, di creare comitati unitari di base per stimolare la cittadinanza a impegnarsi nella lotta sociale. Il vero obiettivo non è costruire una coalizione elettorale bensì un nuovo soggetto politico e un nuovo blocco sociale.
Per questo non basta lanciare campagne di opinione: occorre costruire un forza politica con volontà di egemonia, capace di produrre un discorso proprio e un vocabolario che lo traduca in forme che possano radicarsi nella mente della maggioranza fino a divenire senso comune.
Occorre far capire al popolo spagnolo che, per uscire dalla crisi, il Paese deve sbarazzarsi di una monarchia obsoleta e delegittimata dagli scandali; risolvere le gravi tensioni interne fra culture e tradizioni diverse e in conflitto reciproco, creando uno Stato federale e plurinazionale; ma soprattutto, se si vuole sostenere l’occupazione, difendere i salari e lo stato sociale, occorre sganciarsi da un’Europa a guida tedesca che non consente alla Spagna di sviluppare un’industria forte, diversificata e tecnicamente avanzata, né di garantire ai propri cittadini il pieno godimento dei diritti sociali e sindacali e uno stato sociale degno.
Dopodiché lo sguardo di Monereo e Illueca si allarga agli altri Paesi mediterranei, a partire dalla Grecia e dai disastrosi risultati delle politiche di Syriza. Il catastrofico esito della crisi greca, culminata con i diktat della Troika è il prodotto, secondo gli autori, di quel miscuglio di riformismo socialdemocratico ed europeismo che ispirava le scelte di Tsipras, il quale non ha mai lontanamente contemplato la possibilità che la Grecia potesse uscire dall’Euro; la sua parabola politica rappresenta un caso esemplare di trasformismo, pratica che, scrivono Monereo e Illueca, consiste nel cooptare, integrare e domare i ribelli, uno “strumento per ampliare la classe politica dominante includendo alcune rivendicazioni popolari per dividere le classi subalterne”.
Non meno interessanti le considerazioni sull’Italia proposte nelle parti del libro in cui gli autori rispondono agli attacchi delle sinistre spagnole nei confronti dei loro apprezzamenti su alcuni provvedimenti del governo “gialloverde”, come il cosiddetto “decreto dignità”.
Nelle repliche scrivono che quel governo “populista e sovranista” aveva incarnato il risentimento antiglobalista di due differenti blocchi sociali: da un lato le piccole e medie imprese del Nord (appoggiate dagli strati medi e superiori della forza lavoro) minacciate dall’invasione dei capitali e delle merci straniere, dall’altro le classi subalterne e i ceti medi impoveriti del Centro-Sud, rappresentati, rispettivamente, dalla Lega e dall’M5S.
Una composizione sociale che ha fatto sì che, pur non rappresentando un progetto progressivo, quella coalizione abbia dovuto accogliere, sia pure in misura limitata, alcune rivendicazioni degli strati sociali inferiori, dimostrando l’esistenza di uno spazio politico occupabile da una forza alternativa al bipolarismo fra destra e sinistra e alla loro alternanza nella gestione degli interessi delle élite neoliberiste.
I testi raccolti nel volume si fermano al 2018, per cui non sono aggiornati alla caduta del governo gialloverde e alla successiva nascita del governo giallorosso in Italia, né sono aggiornati al ritorno di Sanchez alla guida del Psoe e alla successiva nascita di una coalizione di governo fra il Psoe e Podemos in Spagna.
Quest’ultimo evento ha fatto sì che Manolo Monereo abbia rinunciato a ricandidarsi come deputato di Cordoba, proprio in quanto contrario all’accordo fra Psoe e Podemos. L’alleanza di Podemos con il Psoe va infatti inquadrata nel contesto del clima “frontista” che, in diversi Paesi europei, ha visto i movimenti populisti di sinistra cedere agli argomenti delle sinistre liberali che invitano all’unione contro il “pericolo fascista” rappresentato dai populismi di destra.
In articoli successivi a quelli raccolti in questo volume, Monereo e Julio Anguita (l’ex coordinatore di Izquierda Unida morto da poco) hanno criticato questa assimilazione di tutti i partiti di destra al fascismo, in quanto ignora le specifiche caratteristiche storiche del fenomeno nazifascista (come il nazionalismo bellicoso ed espansionista).
Questa “banalizzazione” del fascismo (“quando tutto è fascismo niente è fascismo”) impedisce di comprendere come in Europa non sia in corso uno scontro fra fascismo ed europeismo liberale e cosmopolita, bensì fra due diverse forme di neoliberismo. Una incomprensione che impedisce di identificare il vero nemico e di capire che “il sovranismo è venuto per restare, e la vera domanda è chi organizzerà le forze sociali che chiedono protezione, sicurezza e identità”. Se l’atteggiamento delle sinistre resterà quello attuale, l’egemonia continuerà a spettare alle destre.