Dalla nostra costituzione ad oggi la nostra associazione non è cresciuta e questo è senza dubbio un fallimento, specie rispetto agli obiettivi che ci siamo proposti.
Per comprendere gli esiti della nostra situazione interna, è sì necessario reinterpretare l’impianto documentale delle Tesi, ma è anche necessario comprendere e valutare cosa realmente è accaduto al nostro interno, prima di imputare ad incolpevoli “cause esterne” la nostra situazione.
Far tesoro dei nostri fallimenti è possibile solo quando ne avremo compreso le ragioni. Le quali spesso non hanno nulla a che fare con la elaborazione teorica sulla interpretazione della situazione nazionale ed internazionale, bensì hanno più a che fare con il nostro retaggio culturale e con la nostra provenienza storica che è direttamente anche quella di Nuova Direzione.
La semplicità con cui nelle Tesi si è liquidata l’analisi delle sinistre e della loro natura, ha impedito di vedere quanto dei vizi di fondo che la caratterizzano albergano nelle nostre impostazioni politiche.
È il retaggio delle formazioni politiche che – comunque provenienti dalla “sinistra” più o meno radicale – hanno da tempo smarrito la loro identificazione con la realtà politica e sociale cui ci si vuole riferire. Rifiutando l’abbraccio con il liberalismo della sinistra, ha mantenuto gli abiti ed i costumi suoi propri.
Prova ne è che, nonostante esista, nel nostro circuito, un rispetto formale della democrazia interna, esso si trasformi in individualismo quando viene a mancare la piena coincidenza di vedute proprie con quelle degli altri.
Non altro spiega la totale perdita del senso di priorità necessario alla costruzione di un organo collettivo.
L’Associazione – sulla base delle Tesi ha posto quali obiettivi fondanti: la rottura del bipolarismo attraverso la costruzione di un terzo polo; la costruzione di un programma politico ed il tentativo di identificare una classe sociale di riferimento, all’interno della quale poter inserire la classe dirigente prossima ventura, come enunciato nel documento “Per la democrazia reale”:
“Per fronteggiare questa reazione (contro i movimenti populisti) occorre una nuova classe dirigente, con una base autenticamente popolare chiarendo quali gruppi, ceti e posizioni, incarnano l’interesse generale dell’Italia.
Si deve porre anche il problema del crollo delle strutture di autorità e reputazionali tradizionali, e delle sue conseguenze sulla logica della delega.”
La scelta di vedersi come collettore dell’area “sovranista più o meno di sinistra” da cui è derivato tutto il dibattito sulla vicenda di Paragone, che poneva il “terzo polo” come obiettivo immediato, ha permesso però il prevalere del vizio elettoralista e comunicazionista – insito anche al nostro interno
– che ha occupato completamente il perimetro d’azione degli associati, bloccando sul nascere ogni esigenza di strutturazione.
L’evidenza degli effetti di tale situazione è commisurata alla distanza dagli impegni assunti alla conclusione della prima assemblea ai punti esposti nel decimo documento “Che Fare”:
“In questa prospettiva Nuova Direzione deve impegnarsi a:
1. Ribadire una dura critica all’Unione europea, sviluppando su ciò attività di formazione e controinformazione, anche in connessione con altri soggetti.
2. Costruire progressivamente un programma socialista per il paese, articolato in obiettivi di fase concretamente perseguibili. Qui l’elaborazione concettuale deve accompagnarsi alla costruzione di alleanze politiche con soggetti collocati criticamente nei diversi partiti, nell’apparato dello stato, nel mondo delle imprese e del sindacato, nei luoghi di maggiore conflitto sociale.
3. Inserirsi in tutte le esperienze di conflitto che esprimano un netto dissenso verso la situazione generale del paese e verso le politiche di indebolimento delle condizioni dei lavoratori: crisi industriali, regolarizzazione dei precari, contrasti tra banche e debitori, e così via.
4. Promuovere, o comunque intercettare, quei conflitti con radicamento territoriale in cui si presenti una lotta fra centro e periferia, Hinterland contro città, Sud contro Nord e così via. Il fine non è disgregare, ma riaggregare su nuove basi ciò che si sta irrevocabilmente frammentando. Il fine è presentarsi come movimento per l’unità d’Italia: unità fra i suoi diversi lavoratori, fra questi e le piccole e medie imprese, fra tutti i territori che il neoliberismo italiano, rappresentato dalla sinistra come dalla destra, mette in infinita competizione a solo vantaggio del capitalismo e dell’Unione Europea.”
Risulta evidente che in un anno di attività, l’Associazione ha parzialmente raggiunto il primo obiettivo, si è sfaldata sul secondo e non ha mai operato per concretizzare gli altri.
Lo sforzo compiuto verso l’obiettivo del Terzo Polo non va ovviamente stigmatizzato ma piuttosto criticato riguardo la sua ampiezza e priorità in riferimento ai 4 punti sopra citati.
Nonostante sia ribadito nelle Tesi che l’uscita dalla UE fosse una condizione necessaria ma non sufficiente per la costruzione di una forza socialista, risulta altresì palese che in chiave di visibilità politica fosse, per alcuni, una carta da spendere per una rapida ascesa comunicativa.
Un buon modo per bruciare le tappe del consenso e con il quale, riducendo l’Associazione a mero prodotto di marketing, ottenere un posto di rilievo all’interno di quel “terzo polo” ancora da creare e ben lungi dall’avverarsi.
La scelta di inseguire un obiettivo elettoralistico si è scontrato innanzitutto con le dinamiche sociali sopraggiunte e successivamente con le problematiche legate al senso ed alla forma del tema Italexit, sul quale l’Associazione ha perso la sua bussola.
Va ribadito che la diaspora interna che Nuova Direzione ha subito non è stata motivata da contrasti riguardo le prospettive (che rimanevano elettoralistiche) ma solo ed unicamente dalle tempistiche
che tali prospettive richiedevano. Chi caldeggiava un’accelerazione e chi invece rimaneva ancorato alla necessità di definire la “classe di riferimento”. In parole povere elettoralismo v/s ricerca culturale, due estremi all’interno dei quali c’è stato il nulla.
Involuta in questa sterile disputa, l’Associazione non ha avuto la forza di darsi una struttura, di coinvolgere gli associati ridotti ad essere spettatori attoniti. Non ci si rendeva conto che, la volontà di creare una “nuova classe dirigente” si riduceva all’idea che la classe dirigente fosse già formata e pronta, una schiera di generali senza eserciti.
Per questo urge dare nuova interpretazione al giusto enunciato presente in “Che Fare”:
“Per rompere il bipolarismo è necessario ricostruire un terzo polo, dialogando con la parte critica dell’elettorato e della militanza M5S, raccogliendo tutte le forze che sono sovraniste in quanto socialiste, ma soprattutto dando espressione a chi da decenni non ha rappresentanza politica: la vasta e frammentata classe dei lavoratori subordinati, dei precari, dei disoccupati.”
Sì, era ed è giusto, ma oggi è necessario riformulare quel pensiero in ordine alle finalità ed alle modalità per conseguirle che qui proponiamo:
“Dare espressione a chi da decenni non ha rappresentanza né forza politica, a tutta la vasta e frammentata classe dei lavoratori subordinati e diversamente dipendenti, dei precari e dei disoccupati, raccogliendo le forze che sono sovraniste in quanto socialiste e rapportandosi a loro nei territori e creando dialogo ed unità nelle lotte, ponendo così le condizioni per la costruzione di un terzo polo in grado di rompere il bipolarismo”.
La conquista del potere istituzionale va perseguita, ma come conseguenza della capacità di crescita politica e sociale degli obiettivi che ci proponiamo, come crescita della coscienza collettiva dei ceti oppressi, non come mera crescita quantitativa delle nostre file.
A che serve alla causa socialista avere centinaia o migliaia di “social simpatizzanti” se poi nella vita reale essi rimangono da soli ed incapaci di agire lotta politica?
È l’opera di aggregazione sociale a dover essere IL carattere distintivo dell’Associazione; la internità alle contraddizioni sociali in cui vivono gli associati ed è il loro agire per politicizzarle l’obiettivo principale del nostro stare insieme. È solo questo il modo per riempire il nulla tra elettoralismo e la pura ricerca culturale. Quando avremo costruite le forze ed il seguito di massa alle rivendicazioni politiche che sapremo esprimere, allora si potrà parlare di alleanze e di tentativi per la costruzione del terzo polo. Prima d’allora avremmo solo la prospettiva di accodarci a qualche capetto.
Riprendendo una preziosa riflessione della nostra Vice coordinatrice nazionale uscente, Chiara Zoccarato:
« ..Resta da capire quanto puntare, ancora, sull’idea che l’uomo che “ha la massa”, sia quello più adatto.
Bagnai aveva molto seguito, per via di una sua indubbia autorevolezza e competenza tecnica (che ha usato in questa legislatura). Si è bruciato. D’Attorre e Fassina hanno lasciato il PD con la convinzione di recuperare la massa che ruotava intorno a quel partito che non era convinta delle politi
che di Renzi. Non li ha seguiti nessuno. Di Maio aveva percentuali di gradimento enormi nel M5S, ma adesso è in crisi nera. Pare che “la massa” sia politicamente inafferrabile per un periodo sufficientemente lungo a farci qualcosa. Forse perché non è “massa”, ma una sua piccola, piccolissima parte liquida che si sposta sul corpo inerte della massa vera, quella che non vota.»
Qui aggiungiamo noi, forse perché il “radicamento” è qualcosa che non ha nulla a che vedere con il “gradimento” fornito dai sondaggi, forse perché per “trattenere la massa” è necessario il radicamento nella società.