Il lasciapassare sanitario presenta un numero sufficiente di elementi contrari agli interessi dei lavoratori e del Paese, e conseguentemente ai princìpi di Nuova Direzione, da dover essere da noi condannato. Nessuno degli aspetti critici che elencheremo è legato ad argomenti di natura medicale o epidemiologica, in quanto riteniamo che l’introduzione del lasciapassare sia avvenuta con finalità prettamente politiche; il nostro giudizio si basa perciò esclusivamente su criteri di carattere sociale, politico ed economico.

Individuiamo tre criticità esiziali nella questione del pass sanitario.
La prima riguarda il suo ruolo all’interno delle politiche governative e la strategia adottata per affrontare il Covid-19. Il Paese si è trovato impreparato all’arrivo della pandemia, senza un piano di emergenza aggiornato e avendo smantellato gli organi preposti alla sorveglianza, incapace di garantire adeguate e tempestive cure domiciliari, sorretto unicamente dalla straordinaria opera del personale sanitario, che è stato esaltato su stampa e televisioni, ma di fatto lasciato solo ad affrontare l’emergenza.

Il momento di crisi ha rivelato che la riforma del titolo V della Costituzione è stata solo un viatico allo smantellamento della sanità pubblica. Le privatizzazioni sovvenzionate da denaro pubblico si sono accompagnate alla drastica riduzione dei fondi per il settore pubblico, attuata in decenni di austerità europea. Le strutture sanitarie affidate ai governi regionali si sono mostrate per lo più largamente inefficienti, il contributo della sanità privata evanescente. Rimarrà negli annali il disastro delle RSA, ed il loro contributo alla diffusione piuttosto che al contenimento del virus.

In questa situazione si poteva e doveva andare nella direzione politica di una ripresa della sanità pubblica, potenziando in modo permanente le sue strutture, con un occhio particolare per le cure domiciliari, territoriali e di prossimità. Le politiche governative sono state al contrario caratterizzate da due direttive guida: eccezionale coercizione nell’applicazione di misure restrittive delle libertà dei cittadini, e completo affidamento a soluzioni vaccinali sviluppate e testate all’Estero. Dalla fase iniziale dei confinamenti, fino alla campagna vaccinale in corso, il governo italiano, dopo una prima colpevole fase di totale inerzia, si è distinto a livello globale per la severità delle misure adottate e, cosa ancora più grave, per la durezza delle sanzioni che le hanno accompagnate. Al popolo italiano la prudenza non è stata né consigliata, né richiesta: è stata ordinata, a suon di multe, gendarmi e narrazioni mediatiche accusatorie. Questo approccio è ancora più inaccettabile a fronte della “docilità” mostrata dalla quasi totalità della popolazione, nonostante mesi e anni di restrizioni. Ancora oggi, l’Italia è l’unico Paese al mondo ad aver imposto l’adozione del lasciapassare sanitario con misure tanto draconiane.

La repressione è stata accompagnata da una resa incondizionata alla malattia. Fin da subito, lo Stato italiano ha abdicato al dovere di curare ovvero prevenire il COVID, preferendo adottare una tattica di contenimento in attesa che altrove venisse sviluppato e messo a disposizione un vaccino. L’incapacità italiana di sviluppare in tempi rapidi una cura o un vaccino è stata supinamente accettata come un dato di fatto, la dipendenza dell’Italia nei confronti di case farmaceutiche private situate all’estero è considerata un’ovvietà. La stessa negoziazione con le case farmaceutiche è stata lasciata all’Unione Europea, con i ritardi, i costi e le plateali manipolazioni a cui tutti abbiamo assistito. Presi assieme, queste due linee guida disegnano un quadro chiaro: i governi italiani hanno deciso che il loro compito non era quello di promuovere la salute dei cittadini, ma di reprimere quelli che sono stati assunti essere dal principio i biechi istinti comportamentali della popolazione, e in seguito di costringere obtorto collo tutti, nessuno escluso, ad accettare qualunque soluzione vaccinale fosse resa disponibile al Paese in quel momento: non solo non vi è alternativa, qualunque proposta alternativa è stata sistematicamente demonizzata.

Questa impostazione della campagna vaccinale è stata scelta perché proprio questa impostazione consente di affrontare la crisi pandemica senza mettere in discussione la linea di privatizzazione e mercificazione della sanità, coerentemente seguita da vari governi e amministrazioni regionali negli ultimi decenni. Il clima di eterna rissa che si è sviluppato intorno alla campagna vaccinale e al lasciapassare sanitario ha fatto perdere di vista la questione della ricostruzione di un’assistenza territoriale, le cui mancanze si sono rivelate critiche nei periodi più critici, l’insufficienza di mezzi, personale e posti letto negli ospedali italiani e il già citato problema della gestione regionale della sanità. Questi temi vanno vigorosamente ripresi perché hanno dirette ripercussioni sia sugli interessi della popolazione in generale che su quelli dei lavoratori del settore sanitario, sottopagati e sotto-organico. Si deve costringere tutti alla vaccinazione perché altrimenti si renderebbe necessario sviluppare la medicina di base, nonché le terapie e cure domiciliari e di prossimità e prevenzione: in poche parole, sarebbe necessario potenziare la sanità pubblica. Ma questo è precisamente ciò che il governo non vuole. Ci vuole ben altro che una pandemia per contrastare un’ideologia. Il lasciapassare sanitario è parte di una più ampia politica di rigetto della sanità pubblica e di abdicazione delle responsabilità sulla salute da parte dello Stato italiano.

La seconda criticità che riscontriamo è che il lasciapassare introduce limitazioni mai viste finora, sia per portata che per natura, al diritto al lavoro, con la creazione di quello che in futuro potrebbe divenire un grave precedente: l’impossibilità, per chiunque non si conformi ad una misura formalmente non obbligatoria e, di conseguenza, non stia violando alcuna legge, di poter svolgere la propria attività lavorativa. Il lasciapassare sanitario calpesta il diritto al lavoro e trasforma il diritto di accettare o rifiutare il vaccino in un singolo dovere surrettizio di vaccinazione. È inquietante notare come la questione del pass sanitario sia stata accompagnata nel dibattito pubblico dalla proposta di negare il diritto all’assistenza sanitaria gratuita a coloro che non possiedono il lasciapassare, condizionando quindi il diritto alla salute al surrettizio obbligo vaccinale. Il lasciapassare sanitario è quindi l’espressione di punta di una serie di misure coercitive che oggi intendono essere di supporto a debellare la pandemia, ma domani potrebbero essere invocate per una larga fascia di obiettivi legati al cosiddetto “bene comune”, emergenziali o presentati come tali. Questa degenerazione autoritaria deve essere condannata al suo principio.

La terza critica che muoviamo al pass sanitario è quella di operare come strumento mediatico funzionale ad esacerbare la mancanza di coesione sociale nel nostro paese, specialmente per quello che riguarda le classi subordinate. Discriminando chi non ha, e magari non vuole, il lasciapassare, viene introdotta surrettiziamente una spaccatura in tutti i luoghi della socialità: lavoro, cura, formazione, cultura, tempo libero. Questa spaccatura si basa su una visione falsata e dicotomica della società che la narrazione intorno al lasciapassare porta consapevolmente avanti. E che, a seconda della prospettiva da cui si guarda, porta a due rappresentazioni della società stessa per loro natura inconciliabili: «cittadini con senso civico che si fidano degli esperti tecnici contro pecoroni ignoranti» oppure «babbei che si bevono tutto quello che dicono i poteri forti contro cittadini che si rendono conto che è tutto un complotto dei poteri forti». Tertium non datur. Tale caricatura della nostra società, che media e reti sociali diffondevano da molto prima del lasciapassare sanitario, trova in quest’ultimo un mezzo potentissimo per affermarsi in maniera ancor più definitiva nell’immaginario collettivo, al punto da essere entrata a far parte dell’«ordine delle cose». Su tali basi, qualsiasi tipo di esercizio democratico riguardante la comunità dei cittadini risulta impossibile.

Emerge la volontà politica di mettere all’indice chiunque osi opporsi o semplicemente manifestare pubblico dubbio sulle politiche governative. Sempre più chiari sono i suoi fini:

1) scaricare su un capro espiatorio – i renitenti al vaccino ed i loro supposti “fiancheggiatori” – la responsabilità dell’eventuale fallimento della strategia del rimedio unico vaccinale arma “risolutiva”, al quale non esistevano alternative, mentre sono state però di fatto impedite;

2) insabbiare le responsabilità di una intera classe dirigente che ha disarmato per anni la sanità pubblica, a danno della popolazione, ed intende continuare a farlo.

Nuova Direzione

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