Essi non dovrebbero cioè predicare la convergenza di tutta l’umanità in una forma di sviluppo culturale predefinita. Gran parte dei fallimenti e delle sconfitte del socialismo storico è dipesa da questa ambizione, non troppo dissimile dalle pulsioni uniformanti ed astratte del capitalismo. Bisogna andare oltre i modelli di socialismo storici (previo loro approfondito studio, che rimane cruciale) prestando attenzione alle forme innovative che si sono sviluppate in Cina e nei paesi “bolivariani”. I socialismi per il XXI secolo devono fare buon uso dei mercati, ma impedendo che si saldino in un unico illimitato ‘sistema di mercato’. I mercati sono esistiti ben prima del capitalismo ed esisteranno dopo di esso, né devono per forza avere carattere capitalista. L’istituzione dei mercati può far leva su forme di organizzazione sociale decentrata che si può fondare sullo scambio di surplus tra pari, senza che siano indefinitamente e automaticamente traducibili in un unico metro di valore; va rigettato il modello esemplificato dai mercati finanziari, dove tutto è ininterrottamente mobile, mercificato e liquido in vista di un margine quale che sia di profitto. Rilanciare la tradizione socialista, questa volta ancorandola a forme di vita plurali e rispettose dei propri percorsi, significa liberarsi da un modello che riduca gli scambi sociali alla pratica della domanda ed offerta. Percorsi socialisti plurali, possono consentire l’esistenza di mercati contenuti da una sfera sociale più ampia, rigettando invece la risoluzione del ‘sociale’ nel mercato. L’orizzonte di un socialismo del XXI secolo è dunque quello di comunità in cui l’economia non è sovraordinata alla società ma sottomessa a un controllo pubblico, trasparente, plurale e democratico, comunità capaci di fondarsi sulla creatività, sulla capacità socializzante dell’umano e sulla logica del dono. Essere anticapitalisti significa riconoscere che “il vero è nell’intero” e che l’economico è solo una delle dimensioni della vita, né autosufficiente né auto-consistente.
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