Significato delle tesi di Nuova Direzione.
Mimmo Porcaro
Significato delle tesi di Nuova Direzione.
Le Tesi di Nuova Direzione sono un tentativo di definire un’identità comune tra persone che fanno riferimento alle stesse grandi correnti ideali, e spesso alle stesse analisi, ma che si conoscono da poco tempo e divergono a volte su punti importanti. Per questo motivo esse sono il frutto di molte mediazioni, oltre ad essere, ovviamente, un punto di partenza soggetto ad evoluzioni e a modifiche. Ciascuno di noi, per portare a termine quello scritto, ha rinunciato a parti significative dei contributi che aveva presentato, contributi che verranno comunque diffusi come materiale di corredo. Nonostante le mediazioni di cui ho parlato, il risultato è un gruppo di tesi forti, tesi che segnano una discontinuità rispetto alle culture politiche e comunque alle idee più diffuse nel paese.
Cercherò di dar conto di tale discontinuità passando molto brevemente in rassegna tutte le tesi ed evidenziando alcuni punti nodali di ciascuna di esse.
Nella cultura politica italiana al globalizzazione è vista in genere sempre e comunque come un bene e l’attuale fase di rinazionalizzazione della politica e dell’economia è vista solo nel suo lato negativo. Ciò è effetto non solo del persistere dell’universalismo cattolico e di residui dell’internazionalismo comunista (che però non fu mai veramente “globalismo”), ma soprattutto della consapevole scelta delle nostre classi dirigenti di rinunciare a definire un proprio interesse nazionale, identificandolo con quello delle istituzioni sovranazionali. Scelta dettata dalla necessità di ricorrere a vari “vincoli esterni” per imporre una disciplina di classe che non si riusciva ad imporre con le sole risorse interne. E scelta oggi visibilmente perdente, visto lo stato comatoso delle istituzioni del presunto “governo mondiale”. Come sostiene la prima tesi, intitolata appunto Contro la globalizzazione, quest’ultima (oltre ad essere in evidente crisi e a non essere mai stata veramente “globale”) ha ampiamento mostrato di non essere un passo avanti verso l’unità del genere umano, ma piuttosto un tentativo di imposizione del modello liberale occidentale. In quanto tale essa è l’esatto contrario della modernità che, nel suo significato più profondo, non coincide affatto con la presunta razionalizzazione capitalistica ma si identifica con la capacità di autodeterminazione degli individui e dei popoli. Così come il progresso non si misura col metro dell’accumulazione della ricchezza astratta o con la crescita delle potenzialità tecnologiche, ma si definisce soprattutto come capacità di costruire rapporti sociali equilibrati e rapporti equilibrati tra l’apparato produttivo e l’ambiente.
Le critiche di ND (e non solo sue) all’Unione europea sono ben note. Nella seconda tesi, Contro il progetto imperiale europeo, vengono ribadite, enfatizzando il ruolo franco-tedesco nella costruzione di un vero ordine imperiale, articolato in territori centrali e subalterni, questi ultimi aventi sovranità sempre più limitata e declinante. Ciò che deve oggi essere particolarmente sottolineato ha a che fare con quanto già detto a proposito della prima tesi: l’Italia ha puntato sull’Unione europea e sull’atlantismo come chiave principale per risolvere i suoi problemi interni. Ma oggi la “soluzione” appare invece come problema, sia per le caratteristiche strutturalmente deflattive ed antipopolari dell’Unione, sia perché l’obbedienza integrale al blocco occidentale ci pone in contrasto con paesi e mercati per noi vitali, sia e oggi soprattutto perché questo “blocco” non esiste più, o comunque la sua integrità è minacciata da conflitti crescenti tra Stati Uniti e Germania/Francia, con l’Italia a fare da spettatrice impotente e vittima. Prima ci accorgeremo che l’ordine partorito dalla II Guerra mondiale è finito, meglio sarà.
Sulla questione dell’immigrazione la posizione di ND è semplice, almeno nell’enunciato della terza tesi, Contro la guerra fra poveri: massimo rigore nel controllo dei flussi, massima apertura nel processo di integrazione di coloro che sono già in Italia regolarmente o che possono essere regolarizzati. E’ opportuno notare che la sorveglianza sui flussi è condizione essenziale per la vera integrazione, giacché flussi incontrollati rendono assai più difficile la regolarizzazione sia dal punto di vista quantitativo sia da quello, ancor più importante, delle condizioni politiche di una strategia integrazionista. Tale posizione non è affatto, come a qualcuno potrebbe apparire a prima vista, una sorta di via di mezzo tra il buonismo degli uni e il “cattivismo” degli altri. E’ invece una cosa completamente diversa perché prende le mosse dalla necessità di regolarizzare il mercato del lavoro a vantaggio sia degli autoctoni che degli immigrati, mentre la politica “no border” aumenta a dismisura la concorrenza al ribasso trai lavoratori e la politica leghista, aumenta la “clandestinizzazione” di chi entra, ed entrambe concorrono a costruire un mercato del lavoro favorevole al capitale e del tutto sregolato. Ma nella tesi c’è un ulteriore punto di notevole importanza, laddove si riconosce che l’atteggiamento di preoccupazione dei lavoratori autoctoni, e soprattutto di quelli meno qualificati e più esposti alla concorrenza, nei confronti dell’immigrazione non è dettato, come si dice oggi, dalla “pancia”, ma è un atteggiamento razionalmente fondato a fronte di un mercato del lavoro già sfavorevole e a fronte del declinare delle risorse dedicate al welfare. Ciò non giustifica affatto il razzismo, né comporta un abbassamento della guardia nel contrasti ad esso; ma ci fa capire come il dire che la soluzione è la lotta comune di tutti gli sfruttati (cosa pur vera, che però nasconde i gravi effetti della frammentazione culturale dei lavoratori sulle loro capacità di lotta) non resiste alla semplice obiezione di chi risponde che prima di discutere su come risolvere un problema è meglio discutere su come non crearselo. Una forza politica che voglia rimettere radici nelle classi subalterne e che voglia evitare le derive peggiori, deve partire dal rispetto delle preoccupazioni popolari e non dal loro fraintendimento o dal loro ripudio etico o estetico.
E’ chiaro che tutto quanto appena detto contribuisce a segnare una presa di distanza netta rispetto alla sinistra attuale, che, nella quarta tesi Contro le sinistre liberali non si limita a prendere atto di differenze di analisi e di strategia, ma le collega alla mutata posizione di classe dei ceti che maggiormente alimentano la sinistra stessa. Una nuova prospettiva di dignità dei lavoratori e del paese non potrà provenire dalla sinistra (e tantomeno dalla destra). L’opposizione sinistra/destra aveva un senso (ed aveva un senso, allora, dichiararsi “di sinistra”) quando era sinonimo dell’opposizione lavoro/capitale e quando la sinistra era orientata, pur nelle notevoli differenze, verso soluzioni di tipo socialista. Oggi che sinistra e destra rappresentano entrambe diverse frazioni del capitalismo, le speranze del paese risiedono soltanto in un movimento che sappia riprendere il meglio della tradizione comunista, socialista e popolare, rinnovandolo al di fuori dello scontro fra una destra e una sinistra sempre unite sia nell’affarismo che nei peggiori attentati alla Costituzione.
La quinta e la sesta tesi (rispettivamente: Per la democrazia reale e Per una nuova coalizione sociale) sono strettamente intrecciate. Secondo ND è necessario ribaltare la logica che, più o meno a partire dalla infausta Seconda repubblica, identifica la difesa e lo sviluppo della democrazia con questo o quell’accorgimento istituzionale, e soprattutto elettorale. Questa logica ha nascosto e favorito il processo di distruzione delle basi materiali della democrazia, che stanno nella possibilità di espressione autonoma e di incidenza politica delle classi subalterne. La realtà della democrazia dipende essenzialmente dall’attenzione ai rapporti sociali e dalla capacità di porre al centro le classi maggiormente colpite dal liberismo. Anche la questione del rapporto tra democrazia e tecnologie comunicative va impostata, prima che dal punto di vista delle mutazioni tecnologiche, da quello delle trasformazioni dei rapporti di classe. Così come accade alle tecnologie direttamente impiegate nel processo di produzione, anche le tecnologie strettamente comunicative non sono affatto neutre, ma incorporano una logica di classe che deve essere indagata e trasformata dall’interno, non limitandosi a veicolare contenuti “alternativi” dentro forme che alternative non sono. Dunque: democrazia è soprattutto ripartire dalle classi subalterne. Così come, peraltro, sono soprattutto le classi subalterne ad essere oggettivamente interessate al pieno recupero della sovranità nazionale. Classi che devono essere ben analizzate e che devono essere unificate da una coalizione politica, giacché non esiste nessun soggetto sociale che da solo, e soltanto in virtù della propria posizione nel processo produttivo, sia destinalmente votato a “fare la rivoluzione”, o quantomeno ad iniziare un processo di trasformazione del paese.
La ripresa di un’iniziativa autonoma delle classi subalterne è inevitabilmente legata ad un mutamento della politica estera del paese, così come indicato nell’ottava tesi Per il perseguimento dell’interesse nazionale in un ottica multipolare. Questa tesi, oltre a voler rompere con l’inveterata abitudine italiana a parlare della politica interna senza prima parlare di quella estera, vuole smontare due pregiudizi: quello secondo cui, come abbiamo già notato, l’interesse nazionale dell’Italia coincide con quello delle entità sovranazionali di cui essa è attualmente parte, e quello secondo cui l’interesse nazionale sarebbe questione “di destra”. Secondo ND la rimozione del problema dell’ interesse nazionale è stata in questi anni una vera e propria forma di governo: tale interesse non veniva realmente precisato sia al fine di giustificare la nostra subalternità all’Unione europea e alla Nato, sia per non essere costretti a rendere conto della capacità di perseguirlo. Ma Nato e Unione europea sono un coacervo di paesi che perseguono prima di tutto il proprio interesse e definiscono una strategia sovranazionale solo a partire da quella nazionale: è anche per questo che l’Italia, sempre pronta ad esibire sul piano mondiale una generosità che è solo arrendevolezza, è sempre più irrilevante. Con grave danno di tutta la popolazione e soprattutto della parte meno abbiente. E’ chiaro che l’interesse nazionale può conoscere diverse declinazioni a seconda delle classi a cui ci si riferisce. Oggi però molte delle stesse esigenze oggettive del paese coincidono con quelle dei lavoratori: l’Italia non esiste come paese sovrano se non rompe con Unione europea, se non si dota di un forte apparato industriale pubblico, se non ha un ampio mercato interno come stabile retroterra delle sempre meno garantite proiezioni sul mercato estero. E i lavoratori non possono mirare alla piena occupazione se non fuori dall’Unione e sulla base dell’espansione del settore pubblico e del mercato interno. Ovviamente la piena sovranità non coincide affatto con l’isolamento, ma al contrario con la possibilità, oggi favorita dal crescente multipolarismo, di costruire rapporti ancora più numerosi con un maggior numero di attori internazionali e di mercati capaci di stimolare la nostra produttività. In questo quadro la anche la “semplice” proposta di conquistare una posizione intermedia e terza tra blocco occidentale e blocco orientale indica di per sé un grande mutamento nella nostra situazione geopolitica.
La nona tesi, nel contesto della quale deve essere letta anche la settima tesi Per un’economia umana, riguarda Il socialismo del XXI secolo. Inutile sottolineare la divergenza di questo tema dal volutamente asfittico dibattito politico-culturale del paese. Pur ispirandosi in buona parte alle recenti esperienze sudamericane, la tesi svincola decisamente il socialismo da ogni modello predefinito perché lo svincola dall’idea di progresso unilineare. Il socialismo vi è visto come l’insieme delle forme storicamente possibili, e quindi differenziate, attraverso le quali le diverse società tentano di controllare, limitare e superare il capitalismo fino a sottoporre l’economia alla società stessa. L’avversario principale del socialismo è il fatto che le leggi di movimento delle società siano dominate dalla dinamica astratta di valorizzazione del capitale, una dinamica intrinsecamente competitiva ed antagonistica, che vive dello sfruttamento del lavoro e dell’ambiente. Una dinamica che oggi trova una delle sue più importanti condizioni di possibilità nella libera circolazione del capitale che da decenni ha reso ancor più forte il dominio del capitale stesso sul lavoro. E’ anche la necessità di limitare fortemente quella circolazione a far sì che la costruzione di una società tendenzialmente socialista dipenda strettamente dalla costruzione di uno spazio internazionale che la faciliti, invece di ostacolarla come oggi. Nell’Italia di oggi il movimento verso il socialismo si identifica inizialmente, oltre che con le scelte geopolitiche di cui sopra, con una politica di piena occupazione ottenuta anche attraverso un piano del lavoro ambientale, e in ogni caso grazie alla riproposizione dell’intervento di stato e dell’impresa pubblica, entrambi ampiamente legittimati dal fallimento delle sciagurate scelte di privatizzazione e di affidamento al capitale estero. Anticipando quanto contenuto nella decima tesi, sottolineo come non sfugga a ND la necessità di acclimatare nuovamente il socialismo in Italia, giacché, oltre al peso delle delusioni storiche dovute alla metamorfosi dei movimenti socialisti e comunisti nostrani, la composizione sociale del paese, fatta in misura notevole di titolari o lavoratori di medie e piccole imprese, fa sì che pur avendo bisogno dello stato gran parte della popolazione tema l’espansione del suo intervento perché la identifica immediatamente con l’aumento dei controlli e delle tasse. Su questo punto le tesi chiariscono che la ripresa economica del paese non può far perno sullo sradicamento dell’evasione fiscale (cosa che in una situazione di crisi permanente potrebbe significare la rovina di numerose famiglie) ma, pur perseguendo le irregolarità più evidenti e dannose e l’elusione fiscale delle grandi imprese, deve basarsi sulla ripresa di politiche economiche espansive rese pienamente possibili solo dal recupero della sovranità monetaria. La completa regolarizzazione fiscale dovrà far parte di un secondo momento di riforma economica.
L’ultima tesi, dedicata al Che fare?, contiene indicazioni che riguardano sia un’azione politico culturale più generale (la polemica con l’Unione europea, la costruzione di un “terzo polo”), sia la ripresa dell’intervento di base, concepito come intervento nelle situazioni di maggior crisi sociale e di maggiore significato politico, quali le crisi industriali. Soprattutto, l’ispirazione politica di ND tenta di sfuggire sia al ricatto dell’ ”antifascismo in assenza di fascismo” sia al minoritarismo che purtroppo affligge le posizioni genuinamente anti-Bruxelles, soprattutto quelle di orientamento socialista-costituzionale. Se l’appello frontista all’unità contro la destra ha la funzione di oscurare sia le immani responsabilità della sinistra nello sfasciare la Costituzione, sia le attuali particolarità dell’autoritarismo di destra, non certo paragonabile col fascismo, il limitarsi del “sovranismo costituzionale” a porre l’Italexit come obiettivo immediato e comunque da subito qualificante di un programma politico, impedisce oggi di accumulare le forze per affrontare davvero il nodo dell’exit. Tali forze possono essere accumulate solo facendo lievitare nel paese un positivo programma neosocialista che dia finalmente rappresentanza a quelle classi subalterne che da tempo sono costrette all’astensione o a legarsi all’una o all’altra frazione del capitalismo italiano e internazionale.
7) Per un’economia umana
(da trattarsi con la tesi 9)
8) Il socialismo del XXI secolo
Viene svincolato sia dall’idea di progresso che da quella di reazione: è l’insieme delle forme storicamente possibili, e quindi differenziate, attraverso le quali la società controlla, utilizza, limita e supera il capitalismo fino a sottoporre l’economia alla società stessa.
Il suo nemico principale è la dinamica astratta di valorizzazione del capitale che subordina a sé sia i rapporti sociali che l’ambiente. Il socialismo è immediatamente ambientalista, ma purtroppo l’ambientalismo non è immediatamente socialista.
Verso il socialismo si identifica con una politica di piena occupazione anche attraverso piano ambientale e comunque su base pubblica e sulla condizione del controllo dei flussi di capitale: necessità di uno spazio geopolitico coerente con l’ipotesi socialista.
Acclimatare il socialismo in Italia (Tesi 10): soprattutto questione fiscale.
9) Che fare?
No al c.d. fronte antifascista: con la categoria del fascismo non si comprende la particolare e storicamente originale natura autoritaria sia della destra che della sinistra.
No al bipolarismo
Terzo polo come rappresentante delle classi non rappresentate
No “partito dell’Italexit” (perché non accumula le forze e le condizioni per l’exit)
Costruzione progressiva di un positivo programma socialista anche con obiettivi immediatamente esigibili
Campagne immediate : crisi industriali, regionalismo, terzo polo…
In ogni caso ci si deve muovere in una strada stretta, che vada sempre oltre le paralizzanti opposizioni tra destra e sinistra, xenofobia e accoglienza ipocrita, europeismo “critico” e antieuropeismo minoritario, capitalismo e socialismo monolitico.
La nuova direzione non può essere che una strada stretta e tortuosa.
Ma è l’unica che può condurre, se non all’avvenire radioso che Mao vedeva al termine del “cammino tortuoso”, quantomeno all’inizio di un credibile progetto socialista per l’Italia.
Commenti recenti