Il contrasto al coronavirus porta alla luce una questione complessa e delicata: la limitazione delle libertà. Affronterò il tema dal punto di vista concreto delle sanzioni che vengono comminate a chi viene trovato a passeggiare, in relazione a quanto stabilito dal governo, ai temi generali che pone e alle restrizioni ulteriori decise da alcune Regioni. In questo caso mi riferisco alla Regione Emilia Romagna.
La legittimità del governo ad agire in un’emergenza come questa ha punti oscuri e pratiche discutibili. Il governo decide l’emergenza con il Decreto Ministeriale del 31 gennaio. In realtà si è trattato solo di attivare la Protezione Civile.
Strumento e contenuti la dicono lunga sulla sottovalutazione e impreparazione con cui si è affrontato la vicenda.
Non si parlò infatti di ospedali e materiale sanitario. L’uso di questi strumenti amministrativi era tuttavia sopportabile finché si trattava di chiusure limitate. Ma quando con il Dpcm del 9 marzo tutta l’Italia viene chiusa e tutti devono stare in casa salvo per andare a lavorare, fare spesa e motivi di salute, e tutte libertà sono soppresse, la questione cambia di molto. In effetti è una cosa mai avvenuta.
L’unico raffronto normativo è la dichiarazione dello Stato di Guerra. Dichiarazione che spetta al Presidente della Repubblica. Alcuni costituzionalisti infatti sostengono che in materia c’è un buco costituzionale. Non lo so.
Certo è che il governo non poteva aspettare una modifica della Carta. Ma è altrettanto certo che provvedimenti così importanti non potevano essere adottati con dei Dpcm. C’è un esautoramento formale del Parlamento.
Ma le critiche salgono e finalmente arriva il Decreto Legge 19/20 del 25 marzo che dà la copertura legislativa ai provvedimenti, siamo a quasi due mesi dalla dichiarazione di emergenza. Il DL in questione ha fondamento nell’art. 16 della Carta che prevede limitazioni delle libertà (sono infatti molteplici le libertà impedite o limitate) per motivi sanitari e di sicurezza.
In merito alle possibilità delle libertà di movimento il decreto in questione CONSENTE: punto a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni.
I provvedimenti non possono durare più di un mese e superare il 31 luglio.
Sempre il 20 marzo interviene un’ordinanza del Ministero della salute che così recita: “non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; è consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona;”. Testo che viene poi ripreso dal dpcm del 10 aprile al punto f).
Va inoltre detto che l’istituzione delle zone rosse è sempre stata concordata dal governo insieme alle regioni interessate in quanto le competenze per quanto riguarda salute e sicurezza sono materia concorrente. Anche in quest’occasione infatti ci sono state scintille fra Governo e Regioni.
La regione Emilia Romagna invece ha posto una restrizione totale alla possibilità di uscire dall’abitazione fatta salva la camminata col cane: “l’uso della bicicletta e lo spostamento a piedi sono consentiti esclusivamente per le motivazioni ammesse (lavoro, ragioni di salute o altre necessità come gli acquisti di generi alimentari);”.
Bene, io non credo che la Regione abbia la podestà di limitare le libertà senza concordarla col governo. L’articolo 117 della Costituzione non prevede infatti il passaggio alle Regioni l’articolo 16. E, quindi, tale decisione deve ritenersi illegittima.
Ma l’applicazione delle norme in questa materia è ancora più confusa e paradossale.
Se ti beccano a passeggiare vicino alla tua abitazione, le sanzioni vengono comminate citando il DL 19/20, che, come abbiamo visto, non contiene alcuna limitazione ma semplicemente dà facoltà al governo di legiferare in materia. Proprio da quella data invece, il governo limita la libertà nel modo sopra indicato.
Il modulo di autocertificazione, a sua volta, contiene una grave omissione. Non cita la possibilità di cui sopra ma solo le possibilità di movimento: per comprovate esigenze lavorative , assoluta urgenza per muoversi fuori dal comune, situazioni di necessità, motivi di salute. Questa omissione viene trascritta anche nei verbali da parte della Polizia. Nei verbali dei carabinieri invece i titoli delle violazioni non corrispondono ai contenuti dei dpcm citati. Non solo, si cita sì l’ordinanza del Ministero della salute del 20 marzo che sancisce la possibilità di muoversi in prossimità della propria abitazione ma poi non la applicano. O la applicano come se affermasse il contrario.
In nessuno dei due casi è menzionata l’ordinanza della Regione, ma ti fermano e multano anche in base a quella.
Tutto ciò è inaccettabile.
Il fatto è che le forze dell’ordine sembrano applicare la legge della televisione: state a casa! La logica è quella per la quale la limitazione totale è più facile da gestire. Capisco, ma ogni cosa va fatta col buon senso, e nel rispetto della legge. Per affermare questa impostazione viene anche affermato che così è più facile perché ci sono quelli che non rispettano i divieti.
Perché se qualcuno non rispetta i divieti devono essere colpiti tutti? Forse si chiudono gli incroci perché qualcuno passa col rosso?
In realtà, con queste modalità terroristiche si cerca di coprire i tanti errori: tagli alla sanità, incompetenze e mancata programmazione rispetto all’epidemia. Ma dovranno pagare caro, dovranno pagare tutto.
Intanto le sanzioni vanno contestate nel merito e nella loro legittimità.
Mentre per l’uscita da questa fase sarà necessario affrontare una discussione collettiva per un’azione collettiva.