di Antonello Badessi
Puntualmente, ad ogni ripresa della crisi tra israeliani e palestinesi, si verifica la messa in scena di approcci consolidati in oltre 70 anni. Ognuno svolge la sua parte, ad iniziare dai protagonisti.
Ci sono poi aggiornamenti più recenti rispetto alla scala di tempo che data al 1948. C’è il ruolo di Hamas, del quale oramai si dimenticano le credenziali della sua genesi, ovverossia minare il ruolo di rappresentatività dell’OLP, a suo tempo, dell’ANP nel presente. Non è stata Hamas a riuscire ad imporre alla leadership di Ramallah un accordo che di fatto ha creato un secondo Stato, o meglio autorità, palestinese nella striscia di Gaza? La premessa furono le elezioni del 2006, vinte da Al Fatah nel complesso del territorio dell’ANP ma stravinte da Hamas a Gaza. Un anno di guerra civile di bassa intensità per le strade della striscia e la fase più cruenta tra il 12 ed il 14 giugno 2007 con oltre cento morti ed oltre cinquecento feriti. Ma i morti in tutto furono circa 350 nel corso di anni e più di 1000 i feriti. Tanto è bastato per indurre la leadership ufficiale palestinese ad accettare la secessione per evitare uno scontro fratricida. Purtroppo i danni non si sono limitati a questo.
Altrettanto puntualmente, ogni volta che si riaccende lo scontro tra Gaza e Israele, coinvolgendo le popolazioni civili di entrambi tra le vittime, Abu Mazen ed Abu Ala non prendono le distanze dalla pratica del lancio di razzi da Gaza, pur essendo una cosa che mai farebbero. Temono di perdere il consenso della popolazione? Sta di fatto che a Gaza il dissenso contro il governo di Hamas, che dirotta risorse sulla guerra anziché indirizzarle ad alleviare la povertà, aumenta ogni giorno. E solo la guerra, e la consapevolezza che dall’altra parte c’è un nazionalismo ebraico che bombarda, può momentaneamente far passare in secondo piano il dissenso, cosa che una situazione di normalità, per quanto poco praticabile, non permetterebbe creando difficoltà alla leadership di Gaza.

Situazione simmetrica c’è in Israele, pur con tutte le differenze di standard di vita. Un paese comunque toccato dalla crisi, dalla disoccupazione, un paese storicamente sindacalizzato, per molti anni permeato dal movimento socialista ma che ora segue il resto dell’occidente capitalista nel cammino della recessione. Cosa fanno i governi israeliani? Netanyahu ha una lunga permanenza alla guida del paese ma anche altri ne sono contagiati. Politiche espansive? Creazione di lavoro? Niente affatto! La risposta è nazionalismo e guerra come surrogati di una politica sociale assente.
Insomma, non è tutto geo-politica. Non solo, ma la geo-politica, se prescinde da questi elementi strutturali e li prevarica, finisce per alimentare cinicamente lo scontro etnico eleggendolo a metro. Purtroppo anche la sinistra, e ci dovrebbe riguardare di più, per anni è stata permeata dalla discussione sul Sionismo e sulla sua legittimità o meno, traslando la diatriba sulla legittimità o meno dello stato di Israele ad esistere. Ma era sionista il socialista David Ben Gurion, che non si oppose a che 600.000 palestinesi potessero divenire cittadini israeliani come pure Menachem Begin capo di “Irgun zvei leumi” organizzazione terroristica dedita a massacrare i palestinesi come avvenne a Deir Yassin, massacri che indussero migliaia di palestinesi a fuggire dalla terra ancestrale per salvarsi. Si potrà dire in sede di bilancio storico che non fu fatto abbastanza da parte dell’allora governo israeliano per ostacolare l’attività di Irgun e quest’ombra resterà. Ma il colonialismo israeliano iniziò però nel 1967 con la conquista di Cisgiordania, Gaza, Sinai e Golan, anche se in seguito ad una occasione offerta su un piatto d’argento grazie alla terza guerra araba contro Israele, prevedibilmente perdente come le due che la precedettero e la quarta del 1973.
Per concludere, resta ancora attuale il piano ONU del 1948, due stati bi-etnici a proporzioni invertite. Israele sugli allora confini e Cisgiordania e Gaza per uno Stato arabo. Ma i primi a non volere un ulteriore Stato arabo erano proprio i regimi arabi reazionari sorti dalla decolonizzazione. La Giordania incamerò la Cisgiordania e l’Egitto Gaza e non cedettero certo quei territori affinché sorgesse lo stato di Palestina, fino a quando il problema glielo risolse – a modo suo – il governo israeliano in carica nel 1967.