“La Cina ha realizzato la gravità del problema del coronavirus, la sua enorme importanza esistenziale e la sua dimensione geopolitica”

“Fra non molto tempo, vedremo la Cina aiutare altri paesi a uscire dalla crisi del coronavirus”

Le crisi rivelano la realtà, la rendono evidente e la superano. Questa esiste “in questo o quel modo”, nasconde più di quanto svela e, nel peggiore dei casi, trasforma il fondamentale in secondario o addirittura terziario. I confini sono un segno di libertà e dell’esistenza di uno stato che è più di una semplice struttura di potere; genera identità, sicurezza e un orizzonte di significato; è anche capacità di gestione delle crisi, di efficacia, di mobilitazione delle risorse e del loro utilizzo efficiente. Uno stato forte è questo, garanzia di sovranità contro le oligarchie interne e contro le grandi potenze di un ordine mondiale gerarchico e nella perpetua lotta per il potere.
Quello che dico non è popolare, lo so. Ci sono confini e confini e ci sono stati e stati, ma senza di essi non c’è libertà possibile. Si dirà che non sono di per sé una salvaguardia per le libertà, è vero, ma sono la loro garanzia. Non esiste una repubblica, una società di uomini e donne liberi ed eguali senza uno stato-nazione, senza confini sicuri e senza potere sovrano. Ricordo qui un bellissimo libro di Regis Debray che si intitola In Praise of Frontiers. In esso, il noto intellettuale francese ci racconta l’importanza di un mondo basato sulla diversità, sulla pluralità, sull’esistenza di culture fortemente autonome, nel dialogo permanente con gli altri in un multi-universo che gestisce conflitti e problemi globali. La prima cosa è superare quella vecchia idea occidentale e cristiana di un’umanità definitivamente unificata attorno a un governo mondiale che assicurerebbe un nuovo ordine costruito sulle rovine dei vecchi stati. La domanda è sempre la stessa: quale stato unifica? Quali poteri costruiscono il governo mondiale e contro chi? E quale geocultura finirà per avere l’egemonia?

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