di Santiago Barbieri


“Qual è il primo paese al mondo nel campo delle esportazioni di imbarcazioni per la navigazione a scopo ricreativo, come gli yacht di lusso? Sorpresa, è l’Italia! Con una quota del 17% del mercato globale (dati 2017), il Belpaese supera Paesi Bassi, Stati Uniti e Germania. (1) Tra le regioni in cui l’attività cantieristica è più pronunciata troviamo la rossa Toscana, il cui fatturato ammonta al 45% dell’intero settore italiano (2). Una storia di eccellenza e dinamismo, una storia che ci racconta come il nostro Paese abbia energie e capacità inesauribili, nonché imprenditori lungimiranti, che fanno andare avanti il paese nonostante il vuoto della politica.”

Questo potrebbe essere uno dei tanti messaggi che si sentono in televisione o che si leggono su quei giornali e siti internet che tessono le lodi dell’imprenditoria italiana, dell’imprenditore che fa andare avanti il paese badando al suo “particulare” di Guicciardiniana memoria. Anche qui, tuttavia, la scenografia crolla molto presto se si vanno a guardare le condizioni di lavoro cui sono sottoposti i salariati del settore. Per l’appunto, proprio la rossa Toscana sembra essere passata attraverso un bagno di candeggina, per poi sporcarsi malamente di nero.

Operai della MsMc durante una manifestazione sindacale

Citiamo tre casi:

1) Questa primavera, a Massa, gli operai dell’azienda MSMC srl – subappaltatrice per la costruzione di yacht di lusso – sono stati licenziati (tramite un messaggio whatsapp) per aver richiesto il pagamento degli straordinari – circa 80/100 ore al mese non pagate a operaio (3). Trattandosi di operai pakistani, c’è anche il rischio che perdendo il lavoro alcuni di loro abbiano seri problemi col rinnovo del permesso di soggiorno (5). Alle richieste dei lavoratori sia l’azienda appaltatrice (Aquila) che quella committente (Azimut Benetti) hanno fatto orecchie da mercante: tanto chi li ascolta degli operai, per di più pakistani?

2) A Piombino, degli operai polacchi di un cantiere nautico sono stati assunti con un contratto di lavoro del paese di provenienza (ma d’altronde nel “mondo globalizzato di oggi” questo non dovrebbe avere importanza, nevvero?) (2)

3) In un’operazione tra Carrara, La Spezia, Ancona e Savona svoltasi lo scorso autunno, la Guardia di Finanza ha scoperto che una grande impresa dedita alla costruzione di yacht di lusso pagava regolarmente gli operai, salvo poi costringerli, con minacce di licenziamento o direttamente violenze fisiche, a ritirare una grossa parte del proprio salario in contanti, al bancomat, e a restituirlo all’azienda. Non solo, ma chi si ammalava di Covid non veniva retribuito per i giorni di assenza e, in caso di infortunio – frequente poiché si tratta di operai dediti a mansioni come la saldatura, la stuccatura o la verniciatura dei megayacht che circolano nei porti del mediterraneo – veniva obbligato dai caporali a presentare una falsa dichiarazione ai medici del Pronto Soccorso, nella quale veniva negato ogni riferimento alla mansione lavorativa che aveva provocato l’infortunio stesso. (6)

Uno yacht di lusso costeggia l’Isola d’Elba

Come dice il segretario della FIOM Toscana Braccini, si tratta di un “modello produttivo distorto fondato sull’arretramento delle condizioni dei lavoratori”, in cui le magagne che vengono scoperte, come i tre casi citati sopra, costituiscono la punta di un iceberg.

Purtroppo si nota come, ancora una volta, l’impresa italiana non sappia concepire altra modalità per competere che quella della riduzione delle tutele e dei salari, spesso in situazioni di illegalità piena. A chi dicesse che “la concorrenza straniera è spietata e non c’è alternativa” andrebbero domandate due cose

1 – Qual è la quota del valore prodotto da queste aziende che va ai profitti e quale quella che va ai salari? Se ne scoprirebbero delle belle, suppongo. Probabilmente i liberisti duri e puri risponderebbero che senza profitti alti non ci sono investimenti – a parte l’assunto in sé che non è affatto detto che sia vero, verrebbe da chiedersi quanti investimenti e innovazione facciano aziende che per competere sul mercato menano i lavoratori e fanno loro restituire parte dei salari in contante, o ancora che applicano i contratti relativi alla legislazione di un altro paese in cui la manodopera è più economica.

2 – Se il costo del lavoro è alto e le aziende fanno fatica, non è forse colpa dell’evasione diffusa all’interno di larga parte delle imprese italiane, evasione che storicamente precede e non segue l’affermarsi dell’elevato costo del lavoro (7)? Senza sapere né leggere né scrivere, sarebbe bello andare a vedere qual è l’evasione stimata nel comparto del settore della nautica da diporto. Se ne vedrebbero delle belle anche lì probabilmente.

A prescindere da questi ragionamenti, se “la concorrenza straniera è spietata” e mina la sicurezza dei lavoratori in modo così plateale, questa è l’ennesima conferma che il meccanismo della globalizzazione selvaggia degli ultimi decenni (già peraltro frenata o messa in discussione sotto molti aspetti, negli ultimi anni) – caratterizzata dalla libertà totale di spostamento delle attività produttive laddove i margini di profitto sono maggiori – necessita di essere radicalmente rivista e limitata.  


Fonti:

(1) https://www.cnapisa.it/wp-content/uploads/2019/05/rapportonautica2019def.pdf

(2) https://www.collettiva.it/copertine/diritti/2021/03/23/news

(3) https://iltirreno.gelocal.it/regione/toscana/2021/03/31/news/chiedono

(4) https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/2021/05/17/news/i_lavoratori_denunciano_il_padrone

(5) https://www.lavorolibero.org/perdita-del-lavoro-e-rinnovo-del-permesso-di-soggiorno/

(6) https://www.lastampa.it/cronaca/2020/11/10/news/caporalato-a-la-spezia-operai-bengalesi

(7) Al riguardo basta leggere qualsiasi volume di storia dell’economia italiana dal dopoguerra a oggi, come quelle di Augusto Graziani o Salvatore Rossi.