Nelle giornate di domenica 20 e lunedì 21 settembre saremo chiamati ad esprimere il nostro voto sulla revisione costituzionale che comporta la riduzione del numero dei parlamentari di 345 unità. Il testo del quesito è “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”.

L’Associazione Nuova Direzione si schiera con decisione per il NO.

Un referendum sulla Costituzione, quindi sulle forme che assumono le istituzioni che regolano la civile convivenza e attraverso le quali il popolo elegge i propri rappresentanti, non può ridursi ad una mera questione tecnica intorno al contenuto di un preciso quesito e non può non caricarsi di molto più ampi significati simbolici. Il taglio della rappresentanza si inserisce in un ormai interminabile elenco di controriforme il cui significato generale non fa che svilire il senso della politica, sempre rappresentata come un inutile affare lontano dalle nostre vite, estraneo al senso della comunità di persone che è il Paese.


Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una “riforma” che in sé non esprime, e nemmeno prova a farlo, alcuna visione complessiva della società. Si rimane nell’alveo già noto della scomparsa della politica.

Lo sforzo tra pari per autodeterminarsi è sistematicamente sostituito da una logica mercantile e ragionieristica che si pretende più efficiente. In questo modo si perde di vista che la qualità di una democrazia si misura dal senso di partecipazione e di identificazione della popolazione nelle proprie istituzioni, non dalla mera valutazione quantitativa del numero di leggi prodotte e della rapidità con la quale sono state prodotte (peraltro, sotto questo criterio la nostra Repubblica non può certamente essere considerata statica e improduttiva, dato che abbiamo sempre prodotto una esorbitante quantità di pessime leggi).


Le forze politiche che hanno promosso queste norme, oltre a svalutare la funzione della politica e dei luoghi nei quali essa si esprime, sembrano immaginare la rappresentanza come mera gestione. In linea con l’idea che non ci siano alternative tutto è ridotto al migliore calcolo dei benefici rispetto ai costi diretti ed immediati. Il Parlamento, e più in generale la dinamica politica democratica, è svilito nella sua funzione essenziale di rappresentare il luogo di condensazione della volontà e di identificazione di obiettivi e mezzi adatti, oltre che di scontro ed eventualmente sintesi degli interessi e dei valori espressi dalle diverse classi sociali.

Questa revisione costituzionale sembra seguire il mito della contrapposizione di una società civile sana ad una politica impura malgrado le molte prove contrarie di questi anni.

L’intera campagna referendaria ha evidenziato il livello veramente misero raggiunto dal dibattito pubblico e non di rado le argomentazioni proposte si sono dimostrate inconsistenti o addirittura pretestuose. Sarebbe stato necessario un dibattito sincero e approfondito con l’opinione pubblica ma la discussione che ha avuto luogo non ha fatto altro che confermare una tragica e trasversale perdita di senso.


L’unico argomento sollevato dai sostenitori del SI riguarda il taglio dei costi, del tutto irrisorio. Taglio condotto eliminando linearmente una parte dei seggi, senza alcuna reale considerazione per le conseguenze (difficoltà di lavoro delle Commissioni, in specie al Senato, eccessiva ampiezza dei collegi). Né sarebbe meglio tagliare stipendi invece che seggi. Finisce per legittimare l’idea che l’unico orizzonte sensato sia quello dei tagli, in questo come in altri ambiti, e non sfiora minimamente gli enormi problemi di qualità e rappresentatività degli eletti.

La questione del costo della politica è perciò completamente mal posta.

Tra tutti costi pubblici quello che si traduce in investimento nella tutela e promozione del pluralismo e della partecipazione è il migliore. Sostanzia la democrazia stessa, ovvero la possibilità almeno in via di principio per ognuno di noi di trovare tribuna e rappresentanza e di influire sugli eventi.

Ma bisogna anche ricordare che la denuncia di sprechi e costi della politica è una cattiva risposta alla ben motivata disaffezione, disillusione e disincanto prodotti in questi anni da consapevoli scelte politiche di segno antipopolare. Scelte che hanno impoverito vasti strati della popolazione e indebolito il potere contrattuale del lavoro.

Alla rabbia per i lunghi anni di impoverimento della maggioranza sociale va a sommarsi la sensazione che i rappresentanti politici rappresentino in realtà soltanto sé stessi e ristrette cordate di potere, coordinate da interessi economici dominanti. Si tratta di una sensazione assolutamente fondata e che trova riscontro nella realtà dei fatti, ma la causa non è certamente un eccesso di rappresentanza o un problema genericamente quantitativo. Il problema è politico e qualitativo: la trasversale egemonia neoliberale, da destra a sinistra, che ha orientato circa tre decenni di scelte di politica economica e diritto del lavoro che si sovrappongono ad un lungo periodo di leggi elettorali prima uninominali, poi a listino bloccato e non di rado riconosciute a posteriori come incostituzionali. Sono queste che hanno permesso ai partiti di coltivare una assoluta autoreferenzialità rispetto al corpo elettorale e al Paese. Leggi elettorali che hanno permesso ai partiti di ristrutturarsi del tutto indisturbati nella forma di collettori di grandi interessi economici e lobbismi.

Invece di affrontare questo nodo, ampliando la rappresentanza e riducendo la presa delle segreterie sugli eletti (che è la cosa di cui ci sarebbe bisogno) viene sacrificato qualche seggio, offrendolo in pasto all’opinione pubblica arrabbiata. La stessa agenda potrà continuare ad essere portata avanti indisturbata.


Il taglio della rappresentanza parlamentare comporta infatti l’aumento delle soglie implicite, perché per eleggere un singolo parlamentare sarà necessario ottenere più voti. Inoltre, attraverso l’ulteriore ingrandimento dei collegi elettorali provocato dalla diminuzione del numero di parlamentari da eleggere, le campagne elettorali saranno ancora più costose di quanto già non siano.

Non occorre perciò dilungarsi su un dato evidente: tagliare la rappresentanza è un’assicurazione sulla vita e la perpetuazione della classe politica attualmente in carica, perché si rende più difficile far emergere e portare in parlamento realtà partitiche nuove che potrebbero diventare più rappresentative.

L’oligarchia in questo modo decide di asserragliarsi nella torre d’avorio. Aumenteranno le sproporzionalità già presenti e figlie dell’assetto regionalista: in rapporto alla popolazione ci saranno regioni a statuto speciale del Nord Italia che eleggeranno circa il triplo dei senatori di regioni del Sud, vanificando il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto. Ciò favorirà ulteriormente un processo di secessione di fatto tra regioni relativamente più ricche e più povere che verrà aggravato dalla sbilanciata ripartizione dei fondi, nazionali ed europei, che conseguirà dell’ulteriore concentrazione della rappresentanza in favore delle regioni settentrionali.

A tutti gli argomenti in favore del NO già esposti si aggiunga la bozza appena presentata di nuova legge elettorale. Per l’ennesima volta pretendono di farci votare con una legge a listino bloccato, senza preferenza, e con soglia di sbarramento elevata fino al 5%. Non solo milioni di voti validi e legittimamente espressi verranno cestinati come “dispersione elettorale”, ma l’effetto combinato del listino bloccato senza preferenze e del taglio dei parlamentari rafforzerà ancor di più il controllo delle segreterie dei partiti su chi sarà messo in lista e poi eletto. Ovviamente potrà contare sulla candidatura e sull’elezione solo chi porti con sé generosi finanziamenti e vaste clientele. Il nostro voto risulterà in questo modo letteralmente scippato.

In sintesi questa revisione costituzionale, insieme a quante l’hanno preceduta almeno nel corso degli ultimi due decenni, si propone di rafforzare in realtà l’autoreferenzialità della classe politica al potere e quindi di stabilizzare attraverso le legislature e le differenti maggioranze l’agenda politica che determina i contenuti di governo – chiunque governi – almeno dalla firma del trattato di Maastricht in qua. E’ una logica circolare che si autoalimenta: tagli, privatizzazioni, trasferimento di ricchezza da chi ha di meno a chi ha di più, rafforzamento dell’autoreferenzialità dei partiti senza la quale non potrebbe rimanere al governo una linea politica che, se sottoposta al voto, non vincerebbe le elezioni.

Per tutti questi motivi l’Associazione Nuova Direzione sostiene il NO e invita tutte e tutti i propri sostenitori e simpatizzanti a bocciare col voto questa pessima riforma.